Renzi, il silenzio elettorale e la sfida nel partito

di ;arco Conti
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Sabato 30 Maggio 2015, 18:22 - Ultimo aggiornamento: 3 Dicembre, 15:10
ROMA - Le elezioni regionali «non sono un test per il governo». Matteo Renzi lo ripete da giorni e lo fa anche a poche ore dal voto violando, a detta del centrodestra berlusconiano, il silenzio elettorale.
Più volte, e ancor più esplicitamente, il silenzio negli anni scorsi è stato rotto dal Cavaliere. La norma, risalente all’84, appare un po’ desueta visto che sui social, Facebook, Twitter e WhatsApp in testa, gli inviti a votare questo o quel partito, fioccano anche ad urne aperte.

Resta il fatto che per Renzi il governo non subirà scossoni qualunque sia l’esito del voto. Una rassicurazione, quella del premier, che sembra rivolta più fuori i confini nazionali e che cade in un momento dove la stabilità del nostro Paese è vista come il principale fattore che ha innescato quel minimo di ripresa che nei giorni scorsi ha ufficializzato l’Istat.

E’ però facile prevedere però che se il governo andrà avanti a prescindere dal responso elettorale, non altrettanto accadrà nel partito di maggioranza relativo. Una vittoria in quattro regioni sul sette permetterà infatti alla sinistra interna di rialzare la testa perché per il Pd significherebbe aver lasciato Veneto e Campania al centrodestra, ma anche cedere - probabilmente - la Liguria. Una vittoria per sei a uno, con il solo Veneto alla Lega, permetterebbe invece al premier di levarsi molti sassolini dalle scarpe. Il più grosso, ovviamente, è quello relativo alla regione Campania e alla scelta di Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, di inserire anche Vincenzo De Luca nella lista degli ”impresentabili”.