@MattiaCalzo32
C’è tutta una Roma che il sabato o la domenica mattina si sveglia presto, si veste pesante, prende la macchina e raggiunge campi da calcio o da rugby, circoli di tennis, piscine e campi da pallavolo e basket negli angoli più sperduti della città da Tor Bella Monaca a Pietralata, dai Parioli all’Eur.
È la Roma dei genitori di aspiranti Totti, di ragazzini che a 11 anni hanno già la sacca con tre racchette come Nadal, di giovani pallavoliste che a ogni punto (pure sbagliato) si abbracciano e urlano e sono più concentrate in quell’operazione che nella ricezione o nella battuta, di baby giocatori di basket o pallanuoto che si guardano in cagnesco già dal parcheggio.
Tra quei genitori c’è anche il sottoscritto. E ogni volta che arrivo ai bordi del campo e incrocio gli sguardi degli altri padri e delle altre madri mi pongo sempre la stessa domanda: da dove saltiamo fuori? Mi spiego: quando a consumare scarpette e tute da ginnastica ero io e quelli della mia generazione ai bordi del campo i genitori non c’erano quasi mai. Qualche parente appariva in occasioni clou, tipo finali di torneo. Altrimenti mai.
Che cosa è cambiato dunque? Erano meno generosi i genitori di una volta? Non credo. Avevano meno tempo libero? Probabile. Forse i genitori di oggi hanno un rapporto deficitario con i figli e pensano di colmarlo facendo i tifosi? O forse cercano solo di dare ai figli quello che loro hanno sempre sognato? Ma se così è, cosa gli resta da sognare ai ragazzi di oggi?
davide.desario@ilmessaggero.it