Trullo, la borgata ora è un paese e nessuno vuole andare via

Il quartiere romano del Trullo
di Stefano Sofi
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Domenica 19 Gennaio 2014, 09:24 - Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 15:19
�Dopo una vita qui, non cambierei con nessun altro quartiere� dice Paolo, 63 anni, ex macellaio. Eppure lamenta che le strade sono strette e l’ingorgo arriva puntuale. Che quei due tombini saltati, laggiù, sono così da anni. Che le strade si allagano alle prime piogge, che la manutenzione comunale è scadente. «Assente» chiarisce Armando Altarozzi, ex fioraio, che vive qui dal 1962 e ha il soffitto pieno di infiltrazioni d’acqua dal terrazzo. Indica alle sue spalle gli otto lotti dell’Ater - le case popolari - che conservano un’aria da anni Cinquanta «eppure basterebbe poco». Ad Aldo, invece, preme far notare che la sede della Asl «l’hanno chiusa e mai più riaperta» e i vigili,poi, «se ne vede uno ogni tanto».



Ma il problema che a tutti loro sta a cuore forse più del resto, è la nomea del quartiere che fa fatica a farsi dimenticare. Racconta di malavita, di feroce spaccio di droga, di regolamenti di conti, di tante brutte storie andate. «Ma non è più così, le famiglie malavitose hanno lasciato il quartiere da anni, trasferite ai Ponti o a Tor Bella, e qui oggi ci sono i problemi di qualsiasi altro quartiere» dicono all’unisono. Sebbene tutto ciò sia ormai solo una cartolina ingiallita, appena dici Trullo torna a galla. Qualche mese fa su un forum in Rete una ragazza chiedeva: ho affittato una casa a Monte delle Capre ma in tanti si stupiscono ”stai al Trullo?”. E lei: ma che ha ’sto Trullo? A me sembra un quartiere come tanti..»



I cambiamenti Il tempo passa e le cose cambiano. Lo sa bene Gino De Santis, 90 anni, agguerrito giocatore di briscola al centro anziani, arrivato al Trullo a 12 anni dalla Francia «che non sapevo una parola d’italiano». I suoi erano emigrati oltralpe a cercare lavoro poi Mussolini decise c’era bisogno delle loro braccia qui, per l’autarchia prima, per la guerra poi e costrinse gli italiani all’estero a tornare. Questi luoghi Gino li ha visti crescere e trasformarsi da estrema periferia a «poco più in là di Trastevere». «Dapprima si chiamava borgata Costanzo Ciano, dopo la guerra prese il nome di Duca d’Aosta». Nel 1946, il nome definitivo di Trullo, probabilmente dal Trullo dei Massimi, sepolcro romano che nell’antichità faceva da riferimento ai viandanti. Negli anni Venti e Trenta fu mèta di immigrati dal sud, calabresi e siciliani, oggi attrae chi arriva dall’est Europa, dal nord Africa, dall’Oriente. Le case costano meno che altrove, i servizi ci sono. Nelle strade senti una colorata babele di lingue: i bambini, specialmente, che si riuniscono attorno alla chiesa di San Raffaele o nello spazio polivalente dell’associazione Insieme per il Trullo.



Tre realtà Del Trullo se ne parla come fosse una cosa sola e invece contiene almeno tre situazioni diverse: Monte Cucco da una parte, Monte delle Capre dall’altra e via del Trullo che gli scorre in mezzo e lega il tutto. Da una parte sfocia sulla Portuense, dall’altra sulla Magliana vecchia. Tre storie differenti a cui bisognerebbe aggiungerne una quarta, Piana del Sole, che però se ne sta lassù, in disparte, più vicina a Corviale. In origine c’è il nucleo di via del Trullo, nel dopoguerra a Montecucco si insediano le palazzine popolari dello Iacp per alloggiare gli sfollati da Borgo Pio e dai Fori. Sulla collina di fronte, a Monte delle Capre, gli immigrati dal sud si danno un tetto e pian piano cresce la borgata, abusiva e senza servizi. Oggi, dal punto di vista urbanistico, è stato messo un po’ ordine, al posto delle baracche ci sono palazzetti rifiniti. Ma dovunque, tranne che a Montecucco e via del Trullo, le strade restano strette e sproporzionate per quel che è cresciuto attorno. «Qui è un paese, tutti si conoscono e si salutano» dice Mimmo, pensionato e volontario alla Onlus di via Monte delle Capre, «c’è solidarietà, vicinanza più che altrove, un paese. Non lo cambierei».
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