Tutti i romani che hanno optato negli ultimi mesi per l'uso del mezzo pubblico, in particolare la metropolitana, hanno avuto occasione di osservare i grandi manifesti che orgogliosamente ci regalavano il più grande patrimonio storico artistico del mondo, se non altro sul piano ideale. E ogni romano si è lustrato gli occhi davanti al manifesto raffigurante il nostro Pantheon, un capolavoro di ingegneria (esempio d'uso del calcestruzzo per la cupola a sezione variabile, rastremata verso l'alto, leggera anche grazie all'uso della pietra pomice) che insieme al Colosseo è parte integrante dell'identità visuale della nostra città. Una splendida giornata, quel cielo turchese a far da sfondo a nuvole perfette, piazza completamente vuota, una rarità. La possibilità di avvicinarsi al manifesto e il tempo a disposizione fra un treno e l'altro sono stati però propedeutici anche ad un altra, agghiacciante scoperta: il più grande patrimonio storico artistico del mondo sarà anche nostro ma è taroccato, il Pantheon che sembra così verosimile non è il vero Pantheon, è un Pantheon sintetico.
Colpiti dal dubbio abbiamo subito voluto controllare e non c'è stato nemmeno bisogno di andare di persona. Appena fuori dalle viscere della città - se non altro perché nella nostra metropolitana, caso unico fra le grandi capitali, la rete cellulare ancora non funziona - basta collegarsi ad internet e trovare sia il manifesto incriminato, così a disposizione di tutto il mondo, sia innumerevoli immagini amatoriali, digitando la parola “Pantheon” su un motore di ricerca. Impossibile, quindi, intuire il motivo che ha spinto i realizzatori della campagna di comunicazione per Roma Capitale (scaricabile qui) a ricostruire (male) un monumento così famoso e così fotografato.
Come nel vecchio “Aguzzate la vista” del noto settimanale che vanta innumerevoli tentativi di imitazione è sufficiente un attimo per rendersi conto della pesantezza del ritocco, delirio del copiaincolla. Dopo le vicissitudini che il pronao ottastilo del Pantheon ha già vissuto nella storia - due colonne sono state sostituite, in particolare la colonna all'estrema sinistra della facciata durante il pontificato di papa Urbano VIII con una in granito rosso – il monumento ricostruito dall'imperatore Adriano intorno al 120 dC viene reinventato nell'era digitale. Delle otto colonne in facciata, originariamente in granito grigio, le ultime quattro a destra sono state abbozzate dalla fantasia del ritoccatore, addirittura due sono quelle clonate dalla quinta, inconfondibile perché caratterizzata da un inconfondibile “difetto” sulla parte alta, mentre l'ultima a destra è probabilmente sorella gemella della corrispondente in seconda fila. Per non parlare, poi, del diametro visibilmente incoerente e della mancante linearità prospettica alla loro base. Il pastrocchio ha naturalmente contagiato anche l'architrave, l'iscrizione a ricordo del restauro operato sotto Settimio Severo non è più leggibile ed è afflitto da fessurazioni verticali che se non fossero digitali sarebbero molto preoccupanti ma in compenso, evviva, è ricomparso nella sua integrità il profilo del marmo sotto le lettere “ter”.
Infine, anche i palazzi che fungono da quinte sono stati chissà per quale motivo corretti, rimpiccioliti, il palazzo alla destra del Pantheon in via della Rotonda o grossolanamente ricostruiti come il tetto del Grand Hotel della Minerva nell'omonima piazza in fondo a sinistra. Insomma, un lavoro che ad un qualunque studente medio non frutterebbe la sufficienza.
Cosa avrà spinto alla clonazione tarocca - e firmata Roma Capitale - di uno dei nostri più famosi monumenti, con l'originale facilmente raggiungibile e fotografabile? Purtroppo - forse per fortuna mettendoci nei panni dei numerosi addetti ai lavori - per le innumerevoli buche che martirizzano sospensioni e colonne vertebrali - Photoshop o Gimp non possono nulla, altrimenti avremmo risolto, finalmente la tecnologia sarebbe davvero al servizio dei Romani!
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