Strage a Roma, Khadija «era cambiata e da due anni indossava il velo»

Strage a Roma, Khadija «era cambiata e da due anni indossava il velo»
di Laura Bogliolo e Marco De Risi
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Martedì 28 Ottobre 2014, 05:47 - Ultimo aggiornamento: 13:36

Il sorriso, timido, era scomparso da tempo. Il volto era coperto dal velo, la testa guardava sempre verso il basso, «e ormai era difficile incrociare il suo sguardo». La vedevano ogni mattina trascinare il passeggino con la piccola Rhim, mentre Moussif e Iba le correvano accanto. Dall'appartamento del massacro in via Carlo Felice, fino alla vicina scuola Federico Di Donato. Le mamme dei bimbi compagni di scuola di Moussif indicano il campetto di basket: «Lì, ecco, lì si sedeva Khadija dopo la scuola: dava la pizza ai suoi figli e ai nostri, anche se negli ultimi tempi era cambiata» raccontava ieri una mamma nel cortile della scuola multietnica di via Nino Bixio.


«Avremmo dovuto fare qualcosa - si dispera - avevamo capito che c'era qualcosa che non andava, ma non abbiamo fatto niente: Khadija era diversa negli ultimi mesi, non parlava più, sembrava depressa e noi come mamme avevamo il dovere di interessarci, ma era una donna molto riservata, la sua famiglia aveva problemi economici».

Il silenzio di Khadija negli ultimi mesi era diventato un'onda nera di depressione. E c'è chi dice che fosse separata dal marito.

RITORNO IN MAROCCO

Khadija El Fatkhani, 42 anni, non lavorava, la sua vita scorreva tra la scuola, l'appartamento del massacro e il vicino supermercato. Viveva da dieci anni in Italia nella palazzina occupata di via Carlo Felice. «Lavorava soltanto il marito, Idris, consegnava mobili per Mondo Convenienza - racconta un commerciante - avevano problemi di soldi, ma nulla può giustificare il massacro». Khadija un anno fa era tornata in Marocco con i bambini. «Con tutta la famiglia era rimasta nel suo Paese per diversi mesi, poi sono tornati - racconta un papà della scuola elementare - so solo che Moussif era un ragazzino sereno, tranquillo, partecipava alle attività scolastiche e alle feste degli altri compagni di scuola». Ma qualcosa, già da tempo, aveva sconvolto la mente di Khadija, minuta, occhi nerissimi e ricci.

IL FRATELLO

«Mia sorella non aveva problemi, non capisco cosa sia successo» gridava ieri disperato Aziz, il fratello della donna. «Non prendeva psicofarmaci» le poche parole di Aziz che fino a poco tempo fa viveva nello stesso stabile occupato di via Carlo Felice, al civico 69. «Non sarei dovuto andare via - si dispera - sarei dovuto restare con lei e con i bambini».

IL SILENZIO

Nel palazzo occupato, dove nessuno può entrare, dove nessuno sa cosa accada, si impone la regola del silenzio. «Negli ultimi tempi era depressa - si lascia scappare una ragazza - ma nessuno di noi si aspettava che la follia potesse esplodere in un modo così tremendo». «Non mi sono accorta di nulla - le parole di una giovane che abita nello stabile - ho dormito con dei bimbi morti accanto alla mia casa, è atroce». Nel quartiere tutti ricordano i bambini e quella mamma così silenziosa che da un paio di anni aveva deciso di indossare il velo. «Venivano da noi a gonfiare le gomme delle biciclette, la mamma sembrava una donna tranquilla» racconta un elettrauto della via. Nessuno pensava che quel silenzio potesse annunciare il massacro.