Roma, ragazzo ucciso da un bus, la mamma: «Chi ha visto si faccia avanti»

Roma, ragazzo ucciso da un bus, la mamma: «Chi ha visto si faccia avanti»
di Laura Bogliolo
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Martedì 3 Marzo 2015, 05:36 - Ultimo aggiornamento: 07:33
«Mamma, questo è un disegno per te». Da un lato un arcobaleno, dall'altro «i cattivi». Ha solo 8 anni e ha già capito tutto: Luca vorrebbe rivedere il sorriso della mamma, ma sa che il buio l'ha inghiottita. Entra ed esce dalla camera da letto, quasi per controllare che tutto vada bene. Un piccolo angelo per mamma Elisabetta, occhi fissi sulle foto di Alessandro «il fratellone» che ora non c'è più. Esile, come un ramoscello spezzato dalla peggiore delle bufere, sospira, singhiozza, compone le parole una ad una, come un puzzle che non potrà mai completare. L'anima senza più un pezzo. «“Mamma, tieni, custodisci il certificato di iscrizione a scuola, voglio ricominciare a studiare, adesso esco: vado a una festa a Campo de' Fiori”, sono state le ultime frasi che mio figlio Alex mi ha detto». Seduta sul letto, Elisabetta Pesce, 42 anni, distende le spalle solo quando Luca e l'altra figlia, Chiara, 18 anni, fanno capolino dal corridoio. Poi è di nuovo buio. «Quell'uomo doveva fermarsi e far salire Alessandro sul bus, il papà è un autista dell'Atac, mi ha detto che tante volte si fa così, perché non si è fermato?». Elisabetta è appena tornata a casa da piazzale Clodio: «Avevo paura di incontrare chi ha ammazzato mio figlio, non lo perdono. Voglio giustizia, lo ha travolto e non se ne è accorto? Non ho avuto il coraggio di vedere mio figlio all'obitorio, l'ha fatto il padre, ha detto che è irriconoscibile». Lui, quel ragazzo che amava il rap: «Un giorno abbiamo litigato, e mi ha subito composto una canzone per chiedermi scusa». Lui, che era un punto di riferimento per Luca e Chiara: «Li ha sempre protetti, era un piccolo uomo, li adorava». Alessandro che aveva fatto il suo primo viaggio all'estero solo due settimane fa: «Ad Amsterdam con gli amici per i quali era un punto di riferimento».



«ERA COSCIENTE?»

Disa, come lo chiamavano i ragazzi del quartiere, «che riusciva a tenere il gruppo unito». Cercava lavoro Alessandro e voleva riprendere a studiare. «Amava l'informatica, era un genio del computer, era un bravo ragazzo, prudente, quella notte voleva solo tornare a casa da me». Gli occhi si abbassano, Betta ripensa a sabato: «Alle 5,30 il citofono, pensavo fosse lui, invece erano due carabinieri: mi hanno detto ”è meglio sedersi, suo figlio è morto”. Ho gridato, Chiara è caduta dal letto a castello, non ho più capito nulla». Gli amici intanto riempiono la casa di Disa («Betta, non ti libererai di noi»), vogliono pagare il funerale e hanno chiesto alla Roma di mostrare allo stadio lo striscione “stop alle vittime della strada”. «Ho chiesto ai ragazzi che erano con lui se mio figlio era cosciente. Il suo cellulare era polverizzato, il bus l'ha preso in pieno facendo la curva a piazza Venezia, quanto ha sofferto mio figlio? Quanto? Perché l'autista non si è fermato? Perché? Chiunque abbia visto, si faccia avanti, racconti tutto». Accanto a Elisabetta c'è l'amica di una vita, che ha visto crescere Alessandro. Le tiene la mano, la sprona: «Ora su dal letto, donna guerriera, inizia a combattere». Betta sospira, c'è tempo per un ultimo racconto: «Ho perso mia madre quando ero bimba, ogni tanto accendo la radio e chiedo che mi parli con le canzoni. L'ho fatto anche oggi, con Alessandro, gli ho chiesto di darmi un messaggio». Betta si ferma, singhiozza: «Alla radio c'era “Io amerò” di Eros Ramazzotti: “guardando il cielo... avrò un posto tutto mio, io vivrò ogni attimo, ci sarò... fino all'ultimo».