Pioggia e grandine, saltano i tombini
Capitale di nuovo in ginocchio

Pioggia e grandine, saltano i tombini Capitale di nuovo in ginocchio
di Mario Ajello
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Giovedì 28 Maggio 2015, 08:11 - Ultimo aggiornamento: 08:21

Per dirla con uno slogan amaro: Roma, tutti al mare, ma è solo pioggia. La solita pioggia, non le classiche «du’ gocce» ma neanche il diluvio universale, a cui la città dovrebbe essere abituata. E invece, ogni volta, ci sarebbe bisogno delle scialuppe di salvataggio; si ride per non piangere («Roma è pronta per i mondiali di barca a vela», twittano gli automobilisti chiusi nelle auto semi-sommerse da mezzo metro d’acqua) e si cerca scampo dai flutti arrampicandosi dove si può. Come fa quella ragazza, ieri, che viene ritratta appollaiata - con una smorfia di dolore - a una staccionata ma pronta a scalare la cima del palo del semaforo che sta alle sue spalle, nel caso il mare di Roma scateni onde ancora più alte. Su un bus, invaso all’interno dalla marea, i passeggeri salgono con i piedi sui sedili per non tenere le gambe a mollo. E sono pure fortunati questi viandanti: altri aspettano nei laghi-pozzanghera i mezzi che non passano, perchè forse inghiottiti negli abissi, per non dire dei taxi che non si trovano e chissà se si troverebbero se ci fosse Uber. Chi conosce la famosa canzone di Antonello Venditti la canta («Sotto la pioggia batte forte il cuore / ma la pioggia non ci bagna») ma non crede alle parole che sta intonando e allora passa a un altro hit del medesimo autore: «Lacrime di pioggia». Viene da singhiozzare, se non si fosse già umidissimi, davanti alla storia che si ripete.

IL FLOP

Il Campidoglio non aveva assicurato, nel 2013, che «da ora in poi non succederà più un acquazzone possa mettere in ginocchio la città»? E invece, nonostante i milioni di euro spesi per ripararle, le caditoie di sempre non funzionano come sempre, l’allagamento classico si ripropone intorno a tombini difettosi e buche-crateri, e il sindaco Marino ridiventato sui social e negli sfoghi della Roma lagunare Sotto-Marino è di nuovo altrove. Sta prendendo una laurea honoris causa a Philadelphia (Stati Uniti), così come era a Milano quando a suo tempo lanciò l’allarme maltempo a Roma, chiudendo le scuole. Quando invece hanno scioperato i vigili a Capodanno, era a Boston. L’altrove come luogo per esorcizzare le calamità che capitano quaggiù. Dove in queste ore, tra un auto e l’altra nel grande imbottigliamento, ci si scambiano via telefonino gli avvisi ai naviganti: «Io due ore dai Parioli alla Nomentana. E tu?». Al mare di Roma, il mare nostrum sempre uguale a se stesso, andrebbe ormai dedicato un museo degli orrori («L’urlo» di Edvard Munch, versione cittadini indignati, ci starebbe bene) o bisognerebbe resuscitare un grande artista delle marine tempestose (William Turner, il quale ha fatto anche quadri stupendi su Venezia e Roma è diventata lagunare?) e chiedergli di venire da noi e di «riconsolarci co’ l’aglietto», come si dice in slang, immortalando con il suo genio questo spettacolo di disservizio capitale.

O c’è il sole o non funziona niente, o c’è il sole o ci si deve arrendere al traffico più impazzito del solito, ma spesso insieme al sole ci sono anche i cortei e gli scioperi e allora è come se ci fosse la pioggia torrenziale, ma anche non torrenziale, che è la bestia nera di questa città.

RIFUGI

Stavolta, tram fermi. Trenta bambini di una scuola vicino a Piazza Bologna non possono uscire dall’edificio, circondato dall’acqua, e i pompieri li portano in salvo. E i luoghi di ricovero sono anche vecchie cabine telefoniche, come quella in zona Pietralata, in cui si tenta di entrare in cinque, come spiritosamente si diceva che accadesse in questi mini-spazi per i congressi del Psdi. Trovare rifugio sotto terra, come ai tempi della guerra? No, perchè molti ingressi della metro sono chiusi. Accucciarsi sotto la proprio moto? No, perchè la moto è a sua volta adagiata sul fondo del mare di Roma e non è neppure dotata di bombola da sub. Due avvocati, incautamente usciti da uno studio legale di Piazza Mazzini, si fanno prestare le bustone nere della spazzatura e le indossano, dopo aver fatto un buco per la testa, come se fossero trench, anzi mute, e sono così buffi che sembrano usciti da quel capolavoro comico delle «Avventure acquatiche di Steve Zissou», firmato da Wes Anderson (colonna sonora di David cantato in brasiliano). Un ragazzino a sua volta zuppo che passa da lì, vedendo quei due così conciati, si ferma un attimo e gli rivolge una smorfia di disgusto: «Anvedi che esseri...».

Il fatto è che nella fisiologia di una città c’è il sapere convivere con la pioggia. Come un corpo umano respira, dorme, suda, così il corpo di Roma dovrebbe naturalmente farsi bagnare dall’acqua, senza andare in tilt. Ma forse è chiedere troppo.

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