Mentre la musichetta si diffondeva nella sede della Polfer, R. A., romano, 55 anni, si guardava intorno facendo finta di nulla. Ma gli occhi dei poliziotti erano puntati, increduli, su di lui: a suonare, erano le tasche dei suoi pantaloni. L'uomo, che era stato appena sottoposto a un controllo perché si era imbarcato su un treno pur essendo sprovvisto di biglietto, è stato arrestato in flagranza di reato per furto aggravato. A nulla sono valse le giustificazioni: «E' incredibile! Questo telefono deve essere scivolato per caso nelle mie tasche!» avrebbe detto l'impavido borseggiatore. Ora, R. A. è stato messo a disposizione dell'autorità giudiziaria e verrà processato per direttissima.
IL FATTO
I fatti risalgono a due giorni fa. Nel primo pomeriggio il cinquantacinquenne approda alla stazione Termini. È appena stato fatto scendere da un treno proveniente dalla Versilia, perché trovato sprovvisto di biglietto. Durante la sosta, quindi, il controllore lo allontana dal vagone e avvisa gli agenti della Polfer, che prendono R. A. in custodia. L'uomo è senza documenti, dice di aver perso il portafoglio, non ha nemmeno la carta d'identità. Gli agenti, quindi, lo scortano negli uffici di polizia per procedere all'identificazione.
Scattano gli accertamenti di rito: registrazione delle impronte digitali e ricerca per confronto nei database delle forze dell'ordine. Per pochi minuti, R. A. viene lasciato da solo, seduto di fronte ad una scrivania. Sul tavolo c'è un cellulare, un Samsung ultimo modello, collegato al caricabatteria: appartiene a uno degli agenti che hanno fermato il cinquantacinquenne. Approfittando della distrazione, R. A. agguanta il telefono e lo infila nella tasca dei pantaloni. I poliziotti rientrano, fanno firmare un verbale all'uomo, gli dicono che è libero di andare via. R. A. non ha nemmeno il tempo di alzarsi dalla sedia, che l'agente derubato si accorge del furto.
O meglio: inizialmente pensa di aver smarrito il telefonino, e inizia a cercarlo per tutto l'ufficio. Poi, decide di fare squillare l'apparecchio. Alza la cornetta del telefono fisso, compone il suo numero privato, attende. La suoneria parte: lo smartphone è in quella stanza. R. A. si guarda intorno, con fare innocente, apparentemente distratto. La musichetta, però, proviene dai suoi pantaloni. «Ma veramente? Deve essermi scivolato in tasca per sbaglio» si giustifica, nonostante la sua fedina penale, appena controllata dai poliziotti, sia ricca di precedenti specifici. Il cinquantacinquenne rimedia quindi un paio di manette intorno ai polsi: viene arrestato per furto.