Gli agenti eroi nell'inferno del rogo: «Così abbiamo salvato gli inquilini»

Gli agenti eroi nell'inferno del rogo: «Così abbiamo salvato gli inquilini»
di Chiara Acampora
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Sabato 25 Gennaio 2014, 09:00 - Ultimo aggiornamento: 09:12
Sembrava un inferno: fiamme alte, fumo nero, pareti crollate e le urla strazianti di chi non riusciva a uscire da quell'alveare.

Sono trascorse alcune ore dall'incendio nel residence di via Pieve di Cadore, ma il ricordo di quei momenti è ancora vivo nella mente di Roberto Nalbone e Luca Federici, i due agenti della volante 18 arrivati per primi all'alba nel residence di via Pieve di Cadore e rimasti feriti per mettere in salvo gli occupanti dello stabile. Hanno dovuto trascorrere alcune ore in ospedale prima di poter ritornare a casa con una forte contusione al piede sinistro per Nalbone e una lieve intossicazione per entrambi.



Lasciando il pronto soccorso del Gemelli, ancora molto dolorante e con una prognosi di 10 giorni, Naldone ripercorre quegli istanti: «Quando siamo entrati nell'ala destra del primo piano era già completamente invasa dal fumo. Per respirare abbiamo bagnato lo scaldacollo, ma non bastava - racconta il poliziotto, un quarantenne da 23 anni in servizio alle volanti - Abbiamo sentito un uomo che rantolava in uno degli appartamenti così ci siamo precipitati. Dopo poco siamo riusciti a tirarlo fuori dallo stabile».



I CONTROLLI

Poi i due agenti sono rientrati per controllare se ci fossero altre persone bloccate. «Dall'ultima porta in fondo al corridoio, sentivamo qualcuno chiedere aiuto - ricorda ancora Nalbone - gridava “Vi prego salvatemi. Non fatemi morire qui dentro. Non andate via”. La porta però non si apriva. Abbiamo provato a prenderla a calci, ma era blindata. Poi abbiamo tentato con delle chiavi, nulla da fare. Per il fumo non riuscivo più a respirare, così mi sono arrampicato su un muretto per prendere aria e sono caduto da un'altezza di tre metri». Dopo essersi accertati che l'uomo fosse stato messo in salvo dai vigili del fuoco gli agenti sono stati affidati alle cure mediche.

«A un certo punto ho temuto che saltassimo tutti in aria - confessa Federici, uscendo dall'ospedale con una prognosi di sei giorni per intossicazione - ho avuto paura che con il calore potessero scoppiare altre bombole. Saremo stati li dentro circa mezz'ora. C'era il panico. Capirci qualcosa in quei momenti era difficile - racconta l'agente, da sei anni in servizio alle volanti - Noi ci siamo diretti dove sentivamo le persone chiedere aiuto, dove potevamo salvare qualcuno».
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