Migranti a Roma, un poliziotto positivo alla Tbc

Migranti a Roma, un poliziotto positivo alla Tbc
di Alessia Marani
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Venerdì 25 Luglio 2014, 22:14 - Ultimo aggiornamento: 26 Luglio, 19:51

C’ un poliziotto a Roma, di quelli a contatto con gli immigrati sbarcati sulle coste del Sud, che risultato “attaccato” dal batterio della Tbc. L’esito del test della tubercolina è arrivato ieri mattina: positivo. L’agente già lunedì sarà sottoposto a una radiografia toracica per scongiurare l’esistenza di una polmonite.

IL NUCLEO

«La positività al test, sia chiaro, rivela il contatto

con il batterio della tubercolosi, ma non prova di per sè la malattia - spiega il suo legale, Luisa Cicchetti di Assotutela -. A lui e ai suoi familiari però è preso un colpo. Sono preoccupati e in attesa di avere cognizione esatta dell’eventuale pericolo di contagio e della profilassi da seguire dopo gli altri esami. Una cosa è sicura: quello che fino a ieri sembrava solo un allarme, oggi è un pericolo concreto. E qualcuno dovrà rispondere del perché il nucleo di specialisti di cui fa parte, da Roma inviato di volta in volta dove ci fosse bisogno, finora sia stato escluso dalle precauzioni imposte dai protocolli, una negligenza imperdonabile».

Il poliziotto, trent’anni di servizio, una recente missione a Siracusa, è uno di quelli impiegati «anche occasionalmente - come cita la circolare del 4 luglio con cui il Dipartimento di pubblica sicurezza del Viminale ha disposto uno screening periodico nei confronti del personale particolarmente esposto al contatto con immigrati diretti verso le coste - impiegati in attività di soccorso, accoglienza, scorta, accompagnamento di migranti», o che svolge «servizi complementari, quali il fotosegnalamento, rilievi dattiloscopici». Appena due giorni prima, il 2 luglio aveva mandato un fax alla Direzione centrale dell’immigrazione da cui dipende con cui chiedeva di essere sottoposto ai controlli sanitari. «Poi è uscita la circolare e dopo venti giorni - continua il legale - è stato chiamato al test, si è perso altro tempo».

LE PROTESTE

«Mentre si continuano a spendere milioni e milioni di euro per l’accoglienza di migranti disperati con l’operazione Mare Nostrum – sottolineava ieri il segretario nazionale Consap, Giorgio Innocenzi – nessuno fa caso alla salute degli operatori di polizia impegnati in queste attività. Questi poliziotti hanno mogli e figli. Chi dovremo ritenere responsabile adesso se qualcuno di loro o dei loro familiari dovesse ammalarsi? Basta leggere una qualsiasi linea guida sanitaria per la prevenzione delle malattie infettive per scoprire che le mascherine chirurgiche non servono a proteggere chi le indossa dalle infezioni».

L’invito a sottoporsi al test è arrivato anche ai trecento poliziotti dell’Ufficio immigrazione di via Patini, indirizzato a coloro che sono stati esposti al contatto con i migranti. «Siamo preoccupati, non sappiamo come difenderci realmente dal pericolo di contagi - spiega Assuntino Macchia, del Siulp - non abbiamo strumenti, nè informazioni adeguate per affrontare il rischio sanitario. Non ci è stato fatto nessuno corso o altro. Al massimo ci sono arrivate comunicazioni del tipo: lavatevi spesso le mani. Ma qui manca pure il sapone. Servono controlli rigorosi all’origine, quando i migranti sbarcano». Controlli rigorosi, però, che i numeri dell’emergenza in corso, fino a mille sbarchi al giorno, non sono sempre possibili.

LA PREVENZIONE

Così la Polizia di Stato ha disposto ulteriori screening sul territorio nazionale. «Stiamo attuando controlli oltre le linee guida del mistero della Salute - afferma Fabrizio Ciprani, dirigente medico superiore presso la Direzione centrale sanitaria - Facciamo i test prima di inviare i poliziotti nei luoghi critici e li ripetiamo dopo. Dei 585 test effettuati finora 22 sono risultati positivi prima del servizio, solo tre (sono agenti di Terni, Ferrara e Bologna, ndr) dopo. Su Roma stiamo cominciando adesso. Ma la percentuale di positività riscontrata fino adesso è ampiamente nella norma rispetto al resto della popolazione. Stiamo cercando di sensibilizzare gli operatori, distribuiremo filmati brevi in cui spieghiamo le precauzioni da adottare, mentre opuscoli sono da tempo disponibili nella rete intranet. E presso le strutture c’è sempre un medico a cui chiedere. Il rischio zero ovvio non esiste, ma non c’è allarme».

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