Mafia Capitale, saranno rimossi i 1.800 cassonetti gialli per la raccolta degli abiti usati

Mafia Capitale, saranno rimossi i 1.800 cassonetti gialli per la raccolta degli abiti usati
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Sabato 21 Novembre 2015, 13:09 - Ultimo aggiornamento: 17 Novembre, 12:57
Primi effetti Mafia Capitale. Tra pochi giorni nelle strade di Roma spariranno i 1.800 contenitori gialli dedicati alla raccolta differenziata di indumenti, i vestiti usati al centro di una tranche dell'inchiesta che ha portato a processo la holding del crimine. Ama spa ha, infatti, disposto l'interruzione del servizio revocando l'affidamento ai consorzi aggiudicatari Sol.Co e Bastiani che dovranno anche rimuovere i contenitori.

L'Ama ha anche deciso che il servizio verrà internalizzato e nel 2016 sarà bandita una gara ad evidenza pubblica per l'acquisto di cassonetti da utilizzare per il conferimento dei rifiuti tessili e si procederà per dotare l'azienda capitolina di strutture adatte per valorizzare in proprio tali materiali. Il provvedimento, che si inserisce nel percorso di trasparenza e legalità intrapreso dal nuovo management di Ama, è stato deciso in quanto nell'ambito del processo per «Mafia Capitale», lo scorso 5 novembre è stata resa pubblica la «Relazione sugli esiti dell'accesso presso Roma Capitale» del Prefetto di Roma, che contiene anche un capitolo riguardante questo servizio.



«All'interno del documento - spiega Ama - si evidenziano condotte non corrette dei due consorzi nella gestione e nella partecipazione alla gara del 2008, nonchè l'esistenza di gravi infiltrazioni mafiose che avrebbero interessato anche direttamente talune delle cooperative esecutrici del servizio. Gli attuali vertici di Ama Spa, anche in questo caso, assicureranno la massima collaborazione alla Procura della Repubblica che, attraverso la Direzione Distrettuale Antimafia, ha richiesto gli atti relativi sia all'appalto del 2008 sia a quello risalente al 2013, riguardanti i medesimi soggetti».



Negli atti i magistrati delineano l'attività del presidente del consorzio Sol.co Mario Monge, che a giugno era stato messo ai domiciliari, proprio riguardo l'affare degli abiti usati. Gli abiti non erano usati per scopi benefici ma, ha scoperto l'inchiesta, venivano destinati al Nord Africa e all'Est Europa. Dunque attraverso gare ad affidamento diretto i consorzi portavano avanti la finta raccolta destinata ai poveri, indumenti che venivano invece immessi sul mercato di paesi poveri. E a Roma ciò, aveva evidenziato il gip, «non poteva avvenire senza il benestare di Buzzi». E dunque di Massimo Carminati. I magistrati hanno accertato che Carminati e Buzzi avrebbero fatto pressioni su Ama per avere coop di fiducia che potessero occuparsi della raccolta dei vestiti.



Non solo: gli abiti non venivano nemmeno igienizzati secondo le norme vigenti e venivano addirittura messi sui camion chiusi negli stessi sacchetti lasciati dai donatori. In caso di ispezione, solo alcuni sacchetti, quelli più visibili, erano bianchi e pieni di indumenti regolarmente trattati. E i camion viaggiavano con una documentazione falsa. Inoltre nel gennaio scorso un'operazione della squadra mobile di Roma ha fatto venire alla luce che la centrale di raccolta era in Campania ed era nelle mani del clan camorristico dei fratelli Cozzolino.



L'operazione portò all'arresto di 14 persone.
Lo scorso settembre, inoltre, l'antitrust multò l'Ama e i due consorzi: 100 mila euro per Sol.co e 10mila euro Bastiani sempre per la vicenda degli abiti usati
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