Mafia Capitale, il Tribunale del Riesame:
«Carminati in affari con la 'ndrangheta»

Mafia Capitale, il Tribunale del Riesame: «Carminati in affari con la 'ndrangheta»
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Venerdì 9 Gennaio 2015, 15:58 - Ultimo aggiornamento: 21:33

«Il clan di Massimo Carminati è da anni in affari con il clan 'ndranghetista dei Mancuso di Limbadi». Lo ribadiscono i giudici del Tribunale del Riesame nelle motivazioni alla decisione di respingere la richiesta di scarcerazione per Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, i due indagati arrestati un mese fa.

Secondo i magistrati, Carminati con Salvatore Buzzi aveva costituito la coop Santo Stefano, onlus destinata a gestire l'appalto per la pulizia del mercato Esquilino. «La nascita della cooperativa - si legge - avrebbe costituito la conferma del rapporto tra l'associazione mafiosa romana e il clan Mancuso che aveva già portato a proficui affari in Calabria».

Rotolo e Ruggiero «sarebbero stati di fatto accreditati su richiesta di Buzzi presso la famiglia Mancuso che come proprio referente per le attività a Roma aveva indicato l'imprenditore Giovanni Campenni».

In numerose conversazioni intercettate dai carabinieri del Ros, emerge come Rotolo, dipendente della cooperativa 29 giugno fin dal 2009 e Ruggiero, dipendente della stessa cooperativa salvo poi passare formalmente dal 2009 alla Roma Multiservizi, spa presieduta da Franco Panzironi, siano definiti 'ndranghetisti da Buzzi.

I due indagati, scrive il Riesame, sono «soggetti pericolosi per la collettività e da sempre gravitanti nell'ambito di organizzazioni criminali organizzate». I giudici ricostruiscono la storia criminale dei due a cui viene contestata l'associazione per delinquere di stampo mafioso. Su Ruggiero, in particolare, il tribunale scrive che «sin dagli anni 90 aveva frequentazioni con elementi di spicco della 'ndrangheta calabrese e in particolare con Girolamo Mole detto U Gangiu» mentre Rotolo «risulta collegato, e non solo per ragioni di parentela, con il clan Piromalli di Gioia Tauro». Per il riesame, «entrambi gli indagati trasferitisi a Roma non hanno evidentemente perduto i contatti con la criminalità

organizzata calabrese tanto da avere accettato l'incarico da parte di Buzzi di prendere contatto con la cosca Mancuso di Limbadi». Per i magistrati romani, i due «avevano a disposizione anche armi».

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