Mafia Capitale, «I bar della Rai tutti nelle mani di Carminati»

Mafia Capitale, «I bar della Rai tutti nelle mani di Carminati»
di Valentina Errante e Cristiana Mangani
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Venerdì 19 Dicembre 2014, 06:18 - Ultimo aggiornamento: 09:01
Via Teulada, viale Mazzini, via Carlo Engri e tutti gli altri bar interni alla Rai: ben dieci, intestati fittiziamente all'ingegnere civile Giuseppe Ietto, titolare della Unibar, Unibar 2 e Venti punto dodici.



Tre società che, secondo gli inquirenti, Ietto usava in quanto prestanome di Massimo Carminati, il vero gestore dei locali interni alla tivù di Stato, oltre che di quelli del Ptv del policlinico di Tor Vergata.



È lo stesso ingegnere, cancellato dall'Ordine perché già finito nei guai per corruzione a un pubblico ufficiale di Nola, a fornire la cifra al gip e ai pm durante l'interrogatorio di garanzia. Unico dato che riferisce perché, poi, si avvale della facoltà di non rispondere. La ricostruzione dei carabinieri del Ros lo vede al centro del giro di fatturazioni false, alle quali attingeva una parte dell'economia dell'intero clan.



Diventa ogni giorno più importante, invece, la collaborazione con la giustizia di Nadia Cerrito, segretaria e factotum di Salvatore Buzzi. Dopo le prime rivelazioni e ammissioni, un paio di giorni fa la donna ha svelato un altro segreto della coop 29 giugno: ha permesso ai carabinieri del Ros di trovare una cassaforte che era ben nascosta dietro un mobile della sede di via Pomona.



IL RITROVAMENTO

All'interno, 23 mila euro in contanti, sulla cui provenienza Cerrito sta continuando a dare spiegazioni ai magistrati. Negli stessi uffici, quando è scattato il blitz era stata trovata anche un'altra cassaforte, con all'interno solo 7 mila euro. Con molte probabilità quella tenuta finora nascosta serviva a occultare buste contenenti denaro per le mazzette. È sempre la segretaria, assistita dall'avvocato Bruno Andreozzi, a rivelare agli inquirenti come il denaro venisse suddivise e a chi corrispondessero quelle sigle indicate in due libri-agenda, uno rosso e uno nero.



Nel frattempo, mentre proseguono le indagini, emergono diversi particolari dai verbali di interrogatorio degli indagati, resi nei giorni successivi all'arresto. Cerrito sembra essere, al momento, l'unica “fonte” all'interno del clan, mentre il resto del gruppo pare arrampicarsi in difese improbabili, avendo difficoltà ad ammettere persino lo stato civile. L'ex ad dell'Ama Franco Panzironi nega persino quella che per gli investigatori, è più di un'evidenza: ovvero il passaggio della presunta mazzetta di 15 mila euro che è stata anche filmata.



I VERBALI

Gli viene chiesto di spiegare da dove sono arrivati quei 265 mila euro regolarmente registrati e versati dalle coop di Buzzi alla fondazione Nuova Italia, presieduta da Gianni Alemanno, di cui è stato segretario. Nel tentativo di non rispondere, l'ex manager cerca di perdere tempo e confondere le idee. Il pm gli chiede: «Chiedo scusa, lei ha detto delle cooperative rosse, giusto?». E lui: «Lo disse Alemanno». «Sì, ma - insiste il magistrato - i soldi sarebbero stati versati alla fondazione dopo le assegnazioni dei lavori...Aspetti un attimo, parliamo di questa cosa: se Buzzi apparteneva all'anima di sinistra perché pagava la fondazione Nuova Italia dove c'era dentro Alemanno?» E Panzironi: «Veramente lo ha fatto sempre, Alemanno, pure prima e non lo ha fatto tramite me...Buzzi pagava come tutti gli imprenditori romani...pagano sia a destra che a sinistra, probabilmente è una questione di relazioni». L'ex ad di Ama prova a dare anche una lettura politica dei “versamenti”: «Dopo la caduta dei partiti sono nate le fondazioni che sono dei centri di aggregazione socio-culturali». Il pm insiste sull'argomento: «Ma qual è la ragione per cui si versano queste cifre?». «Forse un malcostume - conclude l'indagato - Però è così».