Il giudice monocratico di Roma, Francesco Rugarli, dopo quattro anni ha dato ragione al presunto boss ora al 41 bis con l'accusa di associazione mafiosa. E ha condannato la donna, anche se al minimo della pena, nonostante l'accusa avesse chiesto l'assoluzione. «Erano solo parole di un'ex amante licenziata, che non arrivavano a integrare un tentativo di estorsione» aveva concluso il pm Mauro Masmaghetti. « E' come se si dovesse condannare una madre che dice a un figlio: "Io t'ammazzo"».
«Mai un sms potrebbe spaventare un uomo della caratura di Buzzi - si era battuto nella sua arringa per l'imputata l'avvocato Renato Raineri - Per lei è stato solo un atto di stizza. Tant'è che nel secondo messaggio ha chiesto "per favore". Doveva pagare l'affitto».
LA STORIA
Buzzi aveva conosciuto la signora nella primavera del 2011. Lui gli aveva proposto di lavorare nella “29 giugno”. «Mi aveva garantito un contratto a tempo indeterminato - è stata la ricostruzione della donna che però ha preferito non presenziare al processo - e invece dopo alcuni contratti trimestrali part time mi ha lasciato per strada pur sapendo che avevo una bambina piccola.
Mi sono sentita presa in giro».
Buzzi in aula ha dato la sua versione: «Avevo paura che potesse chiedere altro. Tra noi c'era stata una storia. Ma poi il direttore del personale non aveva rinnovato il suo contratto part-time per delle sue difficoltà comportamentali. Quindi ha cominciato a chiedermi soldi. Voleva seicento euro per pagare l'affitto. Pena, avrebbe rivelato i nostri incontri alla mia compagna. Mai cedere ai ricatti».