Casamonica, l'intervista al presidente dell'Anticorruzione Cantone: «La mafia a Roma è stata sottovalutata»

Casamonica, l'intervista al presidente dell'Anticorruzione Cantone: «La mafia a Roma è stata sottovalutata»
di Valentina Errante
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Sabato 22 Agosto 2015, 06:17 - Ultimo aggiornamento: 12:38

«Una scena simile, oramai, non è più possibile neppure a Forcella. Nessuno si sarebbe aspettato di vederla a Roma. E questo è stato l'errore». Per Raffaele Cantone, presidente dell'authority Anticorruzione, il funerale hollywoodiano di Vittorio Casamonica, messaggio chiaro del clan alla città, è stato il frutto di una sottovalutazione delle istituzioni e delle forze dell'ordine, legato all'idea che la mafia a Roma non sia poi davvero presente. L'ex magistrato, per anni in prima linea sul fronte anticamorra e avvezzo a manifestazioni simili della criminalità, pone domande che restano in attesa di risposta. Cantone esprime forti perplessità anche sulla scelta del parroco della Chiesa don Bosco e chiosa: «Queste immagini sono un altro brutto colpo per l'immagine di Roma».

Sembrava la scena di un film, come è stato possibile?

«Prima di tutto bisogna cogliere il significato di questo funerale. Al di là dell'ostentazione di potere e della ricchezza, delle modalità pacchiane, che oramai non sono frequenti neppure in occasione dei funerali dei boss del sud Italia, c'è un altro elemento che colpisce ed è la presenza della folla. Anche questa è una manifestazione di forza. Il consenso e la partecipazione della gente sono un messaggio. E' un chiaro segnale anche questo. Non è stato un funerale normale neppure nei numeri. E' un altro elemento con il quale fare i conti».

È stato un corto circuito, una mancata comprensione del fenomeno?

«Questa vicenda si sposa con una realtà con la quale abbiamo fatto i conti più volte.

L'errore è sempre lo stesso e da qui nasce anche lo stupore: nell'immaginario collettivo, e non solo, nonostante le indagini, Roma è una città dove la mafia non esercita fino in fondo il potere. E questo è un errore nel quale possono incorrere anche le forze dell'ordine. E invece il corteo, la carrozza con i cavalli, la Rolls-Royce, l'elicottero, dal quale vengono lanciati i petali, sono l'ostentazione di un potere che si manifesta forte, nonostante le indagini. Anzi, proprio mentre l'inchiesta, che colpisce un'organizzazione mafiosa radicata sul territorio, è in corso. È chiaro che non sia stata una cosa improvvisata, questa scenografia è stata pensata e organizzata. Eppure nessuno se n'è accorto. I cavalli sarebbero arrivati addirittura da Napoli. Anche i manifesti sono stati stampati e affissi. E' stato un grande spettacolo, un palcoscenico per i boss. A Roma le organizzazioni criminali utilizzano anche il linguaggio tipicamente mafioso. E nessuno si è reso conto di quello che significava. Adesso c'è lo stupore per quanto accaduto, si può anche dire che abbiano approfittato del periodo estivo, ma è chiaro che il problema si pone e ci sia stata una sottovalutazione della vicenda».

Secondo lei ci saranno conseguenze?

«Ci sono domande a cui si deve dare una risposta. Stabilire esattamente cosa sia accaduto e come sia stato possibile tutto questo. Non credo che le reazioni a caldo siano la soluzione migliore e non è mio compito fare una valutazione di questo tipo. A me interessa piuttosto capire il fenomeno. E' chiaro che c'è stata una sottovalutazione nella gestione di un fatto che diventa fortemente simbolico. Ma lo ripeto, è tipico di Roma. Una cosa del genere non sarebbe mai accaduta a Casal di Principe o a Caserta, dove oramai, da anni, i funerali dei boss si celebrano in forma privata per motivi di ordine pubblico. Il fatto è che qui nessuno si aspettava potesse succedere una simile cosa, malgrado la mastodontica macchina organizzativa. E questo è grave. Si continua a pensare che nella Capitale la mafia non eserciti i propri interessi e non ostenti il potere che esercita».

È la dimostrazione che la mafia controlla il territorio?

«Non credo che questo funerale sia di per sé il segnale che la mafia a Roma sia più forte di quanto non pensassimo. E' piuttosto un chiaro messaggio che il clan ha voluto dare in un momento di transizione e ristrutturazione del potere. E non è un caso che questo avvenga a ridosso di un'importante indagine giudiziaria che ha assestato un duro colpo all'organizzazione criminale».

Crede sia un problema culturale?

«Un manifesto enorme è stato affisso sulla facciata di una chiesa del quartiere Tuscolano. Pensiamo davvero che per tutta la serata di mercoledì, quando la macchina organizzativa era già partita, non sia passata neppure una volante? Due elementi emergono con chiarezza: la forza dl clan, che manifesta il proprio potere, e l'errore di sottovalutazione da parte delle istituzioni. Anche sulla chiesa sono costretto a pormi delle domande».

Il parroco di don Bosco sostiene che il boss fosse all'interno della comunità cattolica e che domani celebrerebbe, con le stesse modalità, il funerale. Cosa ne pensa?

«Negli ultimi anni, la chiesa aveva dato segnali forti. Vere e proprie prese di distanza. Soprattutto la chiesa meridionale. In questo senso le indicazioni del cardinale napoletano Crescenzio Sepe sono state significative e andavano in questa direzione. Voglio dare per buona la giustificazione del sacerdote, per il quale, alla fine, Vittorio Casamonica, era interno alla comunità cattolica, e non spetti a lui giudicare, ma credo che da questa vicenda anche l'immagine della chiesa, che vuole essere sempre più popolare, sia fortemente segnata. Del resto il manifesto era affisso sulla facciata della parrocchia».

Eppure fino a qualche anno fa le polemiche hanno toccato la chiesa: madonne e santi patroni in processione, nei comuni del sud Italia, si sono fermati davanti alle case dei boss per omaggiarli. Non è la stessa cosa?

«No, non è lo stesso. Le processioni, nei piccoli comuni, sono spesso organizzate da comitati esterni. In questo caso, invece, tutto si è consumato all'interno della chiesa, e se in quei casi il clero poteva dire di non sapere, giovedì era più difficile che il sacerdote non sapesse. Forse anche lui avrebbe dovuto valutare una serie di elementi».

Giovedì Alfano consegnerà al Consiglio dei ministri la sua relazione sul Comune di Roma. Pensa che questa vicenda possa avere un'influenza sulle decisioni finali?

«Penso che questa vicenda non abbia alcun collegamento con le responsabilità degli amministratori del Comune di Roma e don le decisioni del ministro. Ma ritengo che questo episodio e queste immagini, che stanno facendo il giro del mondo, siano un altro colpo all'immagine di Roma, dopo la tempesta di Mafia capitale».