Fiumicino, da check-in a muro del pianto: «Ditemi se posso tornare dai miei figli»

Fiumicino, da check-in a muro del pianto: «Ditemi se posso tornare dai miei figli»
di Mario Ajello
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Venerdì 31 Luglio 2015, 08:38 - Ultimo aggiornamento: 08:39
E’ una bolgia di corpi e di grida. E’ una scena allucinata e infernale, che sembra ricalcata dai dipinti di Hieronymus Bosch sull’aldilà. Ma siamo nell’aldiquà: a Fiumicino, nel medioevo del terzo millennio. O nell’India de’ noantri. Verranno montate le tendopoli, come negli scali di Calcutta e di Bombay, per ospitare le migliaia di passeggeri rimasti senza voli, senza luce per un po’, senza aria condizionata, senza le scale mobili e senza la speranza di poter partire?

Il black out, dopo l’incendio di maggio che ancora brucia e il rogo dell’altro ieri che ancora puzza, sta incenerendo le ultime illusioni che a Roma possa funzionare qualcosa. A cominciare dalla sua porta d’ingresso, che è questo aeroporto ridotto a accampamento. C’è il muro del pianto, al Terminal 3.

IL TENDONE

E’ il tendone bianco che delimita l’area che andò in fiamme quasi tre mesi fa e dove ancora non sono finiti i lavori di riparazione. C’è la gara della disperazione, tra gli accasciati. «Io aspetto il mio volo da 32 ore», «Io da 70», «Io da 48», «Io non me lo ricordo più». A guidare questa classifica della vergogna è un gruppo di ragazzi siciliani. Raccontano: «Dovevamo partire per Palermo, con Vueling, martedì alle 14. Ci hanno fatto salire sull’aereo alle 17. Siamo stati fermi lì dentro fino alle 20, senza aria condizionata e con una fame blu. Poi ci hanno fatto scendere. Perchè? Boh. Nessuno ci ha dato spiegazioni». E a quel punto? «Ci hanno messo su un pullman e ci hanno mandato a dormire in una topaia piena di vecchi a Fiuggi. Dove siamo arrivati alle 3 del mattino. E stamattina alle 8 ci hanno riportato qui per farci partire alle 12. Poi alle 14 e poi alle 16. Ora sono le 18 e 30 e siamo ancora a Fiumicino».

LA CHIESA

Si disperano loro e con loro altre migliaia di sventurati. La cappella dell’aeroporto è adiacente a questo tendone, qualcuno prova a entrare e ad accendere una candela ma non si può: le candele sono elettriche, con lampadina a forma di fiammella, e la corrente è andata via. Verrebbe da sacramentare in chiesa. Mentre fuori, è saltato il funzionamento dei monitor e dei check-in e il risultato è il grande baratro dei ritardi che si accumulano a ritardi e dei tabelloni con gli orari che diventano quadri astratti e terrificanti. Una donna spagnola fa la spola tra il muro del pianto e la folla umiliata e offesa davanti ai banconi dell’accettazione, e lancia un grido: «Hijos de puta!» (figli di p...). Ce l’ha con chi non la fa partire, e insieme alla sua ira parte il coro degli iberici: «Vergogna! Vergogna!». C’è chi lancia calci all’aria, perchè non sa con chi prendersela. Chi va all’assalto dei banconi, dopo essere stato in fila per tre ore, e intervengono i carabinieri per sedare la rivolta.



LA RISSA

Un’altra spagnola, che non può tornare a Barcellona, prende a spintoni una hostess, e sta per scoppiare la rissa. Da una parte, le finte rassicurazioni: «Calma, partirete tutti». Dall’altra, la disperazione: «Ma quando, fra altri tre giorni? E se nel frattempo arrivano le cavallette o i monsoni, restiamo qui una settimana?».

«Ma voi li avete i figli? Sapete che cosa significa che vi aspettano a casa e voi non riuscite a tornare da loro?»: è lo sbocco di rabbia di uno che dovrebbe tornare a Lametia Terme ma Lametia si raggiunge prima a piedi e le addette al check-in non sanno che cosa rispondere alla domanda sulla propria maternità e neanche a quelle sugli orari possibili o eventuali, saltati o fintamente ripristinati, supposti o meglio immaginari.



Al muro del pianto del Terminal 3 arriva una quarantenne inglese, piuttosto piacente. E’ reduce dal Terminal 2 - quello dei voli low cost dove un quirita ha gridato a un pilota di passaggio: «Io te mozzicoooo!» - e racconta Kate: «Non so più dove sbattere la testa. Mi fanno girare da un ufficio all’altro da 48 ore. Mi sento persa come i miei bagagli». Per fortuna che non legge l’italiano, perchè accanto a lei spicca questo cartello: «Si può chiedere il testo della Carta dei diritti del viaggiatore in qualsiasi punto informazione». Ma i punti non ci sono o sono assediati da centinaia di disperati, l’informazione manca e l’invisibile Carta dei diritti del viaggiatore dev’essere una burla in questo contesto del triplete (incendio uno, incendio due, cortocircuito) che sta atterrando Roma.



E che viene così raccontato dal biglietto di Marzia, 20 anni: «Lo vede questo ticket? C’è scritto che dovevo partire il 28 luglio alle 20,25 per Parigi e sto ancora qui». In tanti giurano: «Non viaggerò più in aereo». Ma non lo dicono per lo stesso motivo che spinge Cary Grant a pronunciare identiche parole (in «Intrigo internazionale») dopo una notte in treno con Eva Marie Saint.



LA FOLLIA

A proposito di cinema, ma non c’è niente da ridere: dopo «L’aereo più pazzo del mondo», ora c’è aeroporto più pazzo del mondo. Dove paradossalmente il black out ha semplificato qualcosa. Davanti ai nastri che portano i bagagli, si è soliti pronunciare il rosario-mantra: ci sarà o non ci sarà la mia valigia? Stavolta, non c’è dilemma: i nastri sono fermi e vuoti.



E comunque, da Fiumicino, perfino l’Alitalia vuole volare via, e se lo farà sarebbe l’unica cosa volante da queste parti. Dove l’ottantottenne Renato, bloccato da ieri, si appoggia a una ragazza che indossa il burqa e non c’è guerra di religione in questa comune disperazione, ma solo un trasversale bisogno di civiltà. I bambini, nella bolgia, o piangono o dormono.



IL POVERELLO

C’è un volo che deve arrivare da Madrid. Ma non lo hanno fatto partire. Forse perchè pensano che, al momento dell’atterraggio, Roma non c’è più. C’è un gruppo di frati francescani che passa nel corridoio tra Terminal 2 e Terminal 3, e viene intercettato da un paio di turiste con gli occhi gonfi di sonno: «Potete chiedere un miracolo al Poverello di Assisi? Che ci faccia partire!». Risposta: «Ma lui girava a piedi, era più saggio di tutti noi». Pendono dalle pareti gli striscioni dell’Expo con su scritto: «The world is hungry». Ma tutti lo leggono così: «The world is angry». Insomma il mondo non è affamato, il mondo a Fiumicino è incacchiato.



Una nuova telefonata di Renzi ad Alfano, dopo quella che gli ha fatto per il rogo di martedì, risolverà la vergogna? Nessuno crede più a nulla nella grande bolgia. E l’«Uomo vitruviano» di Leonardo, riprodotto in legno e appeso al soffitto del Terminal 3, osserva dall’alto la disperazione sottostante e vorrebbe scappare. Perchè qui il genio organizzativo del Da Vinci non può illuminare più niente, e hanno vinto le tenebre.
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