Banditi, estremisti e mafiosi: il filo nero di Roma criminale

Banditi, estremisti e mafiosi: il filo nero di Roma criminale
di Luca Lippera
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Venerdì 4 Luglio 2014, 01:33
Non esiste pi un Maurizio Abbatino che spara e che comanda, Danilo Abbruciati morto da ventidue anni e della banda - la Banda della Magliana, unica, feroce, irripetibile - sopravvivono solo le recensioni dei romanzi e dei film che ne hanno ripercorso (a volte con qualche “indulgenza”) l’epopea criminale.



Eppure l’uccisione di Silvio Fanella alla Camilluccia, i legami della vittima con il faccendiere Gennaro Mokbel, e l’ombra dell’ultradestra sullo sfondo, sembrano raccontare di una Roma in cui “Il Freddo”, “Il Dandy”, “Il Nero” e tutti i loro compagni di avventura si sarebbero trovati a meraviglia. Una città ai loro piedi, i boss di quella stagione, se l’erano solo immaginata. Forse trent’anni dopo, senza far rumore, senza apparire, senza creare problemi, qualcuno se l’è presa sul serio - “colletti bianchi” al posto dei banditi sanguinari - e le pallottole di ieri dicono che può essere fatale mettersi di traverso.



IL FILO “NERO”

Le analogie tra quello che fu e quello che potrebbe essere oggi balzano agli occhi. Una su tutte: il legame con la galassia dell’ultradestra, un serbatoio dove l’individualismo, unito alle mattane dell’ideologia, produce personaggi che sfuggono perfino al controllo dei gruppi più estremi. Giovanni Battista Ceniti, uno dei presunti responsabili dell’omicidio della Camilluccia (il ferito), è stato fino a qualche anno fa un militante piemontese di Casapound e l’organizzazione fu costretta a espellerlo perché faceva solo di testa sua.



Certe contiguità c’erano anche allora. I rapporti della Banda della Magliana con i Nar, i terroristi dei Nuclei armati rivoluzionari, sono stati al centro di una dozzina di processi e le procure hanno indagato per anni sulle presunte frequentazioni di Franco Giuseppucci detto “Er Negro” (il boss ammazzato nel 1980) con Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Massimo Carminati e Alessandro Alibrandi.



IL LATO OSCURO

Se l’omicidio di ieri è una cartina di tornasole, il lato oscuro di Roma è ancora lì, anche se non lo si vede così nitidamente come prima. L’uomo ucciso in casa alla Camilluccia, secondo gli investigatori, era il custode del tesoro (70 milioni di euro mai trovati) di Gennaro Mokbel. Non è un mistero che Mokbel, dominus dello scandalo “Telecom Sparkle-Fastweb”, avesse legami con il mondo sotterraneo e quasi occulto del neofascismo.



Ecco il “filo nero”, dunque, oggi come negli Anni Settanta. Ed ecco nuovi personaggi che potrebbero aver realizzato, con il riciclaggio di montagne di denaro, con colossali truffe telematiche, con i diamanti al posto della droga, quello che “Er Negro”, “Il Dandy” e tutti i protagonisti della “batteria” si illudevano di poter fare con il commercio dell’eroina e della coca.



LA SVOLTA

Gli epigoni dei banditi di allora, lasciando ad altri le dispute quotidiane, avrebbero insomma compiuto il salto di qualità che non riuscì ai predecessori. Bisognava cambiare prospettiva, tirarsi fuori dall’immondezzaio della periferia, e le lezioni nel corso del tempo sono state molte e molto eloquenti.



Maurizio Abbatino, uno dei capi di quegli anni, si è pentito, ha collaborato e vive (protetto e malato) in una località segreta. Enrico Nicoletti, il cassiere della Banda della Magliana, fiaccato dai processi e dai sequestri, combatte con la salute. De Pedis, il mitico “Renatino”, non ha più neppure la tomba che si era scelto (a Sant’Appollinare) e molti altri sono morti.

I nuovi protagonisti hanno scelto altre strade. Strade talmente redditizie da rendere irrilevante, ai loro occhi, la gestione del territorio.



Le inchieste, gli arresti e i delitti compiuti in questi anni consegnano una foto delle zone di influenza sulla città. Il clan dei Casamonica continua spadroneggiare nella zona tra l’Anagnina, il Tuscolano e i Castelli. Quello dei Senese, a giudicare dalle indagini, estende l’influenza sulla periferia est forte dei “manovali” forniti dalla Camorra.



Da San Paolo a Spinaceto, dalla Colombo a Ostia tornano di continuo i nomi di Carmine e Giuseppe Fasciani, mentre a Roma Nord, secondo gli investigatori, echeggia quello di un ex esponente dei Nar, quel Carminati coinvolto nel 1998 in uno dei processi sulla Magliana. Il settimanale “L’Espresso”, un anno e mezzo fa, ha parlato dei quattro definendoli così: “I re di Roma”.



IL PRECEDENTE

Ma il delitto di ieri sembra testimoniare che esistono livelli in cui le forze centrifughe sono ancora maggiori. La “strada” in fondo è tranquilla - Roma lo è e la malavita non alcun interesse a renderla diversa - ma c’è fuoco sotto la cenere. Silvio Fanella, probabilmente, era uno che stava sgarrando. Chissà: forse sapeva troppo del tesoro di Mokbel, forse conosceva i segreti del “filo nero”, o forse voleva semplicemente fare di testa sua senza ascoltare quelli che contano sul serio. Come accadde a Flavio Simmi, 33 anni, titolare di un “Compro Oro” davanti al Monte di Pietà, ammazzato in strada nel quartiere Prati nell’estate del 2011.



Il padre Roberto, nel 1993, era stato coinvolto nell’operazione “Colosseo”, il colpo di grazia alla Banda della Magliana. Flavio, allora bambino, non c’entrava nulla. Ma chissà cosa succede in certi ambiti, come si cresce e come si ragiona. Era il 5 luglio, le 9,30 del mattino, quando Simmi fu crivellato da undici colpi di pistola davanti alla compagna. Il “Dandy”, “Er Negro” e “Il Libanese” non c’entrano ovviamente nulla. Ma qualcosa di loro, in una Roma indecifrabile, è rimasto.
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