LA TECNICA
Tutto inizia da un contenzioso di fronte al Giudice di Pace. Nel 2006, Fabio e Claudio Antonucci decidono di acquistare la proprietà dell'immobile che loro padre ha alienato dall'Ater. E nel 2010, scelgono di vendere l'appartamento. Quindi, richiedono all'Ente l'autorizzazione per l'esenzione del diritto di prelazione sull'immobile. L'azienda comunica agli utenti che devono pagare circa 11 mila euro. E chiede ulteriori 2.600 euro giustificati come "oneri accessori relativi a posizione contabile debitoria" di Antonucci padre. In realtà, quei debiti non sono documentati e, comunque, sarebbero prescritti. Gli Antonucci chiedono un chiarimento. Ma l'azienda replica che per avere risposte precise è necessario avviare un'istruttoria della durata di 4 mesi. Gli utenti, quindi, pagano, avendo necessità di concludere in fretta le pratiche burocratiche, dato l'approssimarsi della stipula dell'atto di vendita.
Secondo l'avvocato Andrea Mannino, che rappresenta gli Antonucci e che ha appena depositato un esposto sulla vicenda sia in Procura che presso la Corte dei Conti, gli utenti sarebbero stati "obbligati" a pagare, perché il notaio non avrebbe potuto rogitare in assenza dell'attestazione dell'Ater. Inoltre, l'attesa di 4 mesi è stata inventata: non emergere da nessun regolamento". Scatta quindi un procedimento di fronte al Giudice di Pace, e l'Ater viene condannata alla restituzione della somma. Ora, però, l'avvocato Mannino ha chiesto ai magistrati di indagare «su un possibile sistema finalizzato alla percezione indebita di denaro a danno degli utenti». A quanto sembra, infatti, quello degli Antonucci non sarebbe un caso isolato: «Abbiamo accertato l'esistenza di molte vicende analoghe», ha spiegato Mannino. Nel 2007, per esempio, Francesco Romano Terrone, dovendo procedere all'acquisto di un'unità immobiliare ereditata dal padre, assegnatario Ater, inoltra domanda all'azienda per ottenere l'estinzione del diritto di prelazione gravante sull'alloggio. Oltre all'importo giustamente dovuto, l'Ater chiede all'utente ulteriori 1.600 euro, per generici «oneri non corrisposti». Essendo prossimo alla stipula del contratto di vendita, Terrone, proprio come gli Antonucci, decide di pagare. Poi, cita in giudizio l'Ente e vince la causa. L'Ater fu condannata a restituire l'intero importo.