Picchiarono un agente, nessun processo per due pugili

Picchiarono un agente, nessun processo per due pugili
di Alessia Marani
3 Minuti di Lettura
Domenica 12 Ottobre 2014, 21:40 - Ultimo aggiornamento: 13 Ottobre, 16:25
​Sei anni per un’udienza, poi i continui rinvii per notifiche errate e il valzer dei giudici al tribunale di Civitavecchia: resta senza giustizia un poliziotto di Fiumicino che nell’aprile del 2007 venne massacrato di botte da due boxeur che aveva fermato per un’infrazione al codice della strada. Il processo a carico degli aggressori, S.S. e C.S., due cugini romani che all’epoca avevano 28 e 31 anni è caduto in prescrizione. «Per il mio assistito - afferma l’avvocato Annamaria Anselmi - è un duro colpo, forse anche più di quelli che incassò allora».



Corrado De Rosa, oggi 42 anni, assistente capo di Fiumicino, fu massacrato di botte davanti al commissariato solo perché fermò i due a bordo di una vettura che viaggiava contromano. Il poliziotto venne letteralmente messo kappao. Finì in ospedale con una forte commozione cerebrale. Fu costretto a nove lunghi mesi di convalescenza, con la prognosi rimasta riservata per molto tempo. «Ancora oggi - fa sapere tramite il suo legale - ho continue e improvvise cefalee, da allora la mia vita non è stata più la stessa».



Era il 28 aprile del 2007. Sette anni e mezzo fa: quanto bastato alla Procura di Civitavecchia per fare cadere in prescrizione il reato di minacce e lesioni gravi nei confronti dei due cugini che all’epoca vennero denunciati a piede libero. In quell’occasione picchiarono anche un collega di De Rosa, intervenuto per bloccarli. Per loro, in tutto questo tempo, nessun processo concluso, nessuna responsabilità. “Assolti” da una giustizia lenta, lentissima, che ha fatto scorrere inesorabilmente il tempo a loro favore, finendo per mortificare un uomo dello Stato.



«Quando sono entrato in aula all’ultima udienza - aggiunge De Rosa - mi hanno riso in faccia». L’ultima udienza era stata convocata il 22 settembre per ascoltare i due cugini e i testimoni di una parte e dell’altra: «Rimandata al 25 novembre perché nel frattempo il giudice Luigi Mazzeo ha lasciato Civitavecchia - spiega Anselmi - ma a quella data la prescrizione sarà già scattata, forse recuperiamo un mese se c’è stata sospensione. Ma il processo ormai è andato». Ci sono voluti ben sei anni solo perché il pm Laura D’Amore (succeduta nel frattempo a Corrado Fasanelli) formulasse la richiesta di rinvio a giudizio, dando il là al processo.



«Il pm - tuona Anselmi - si decise solo dopo le nostre continue richieste, per mezzo di due istanze rimaste senza risposta e a una terza inviata direttamente al Procuratore Capo Gianfranco Amendola perché prendesse in mano la situazione. Solo così, qualcosa si mosse e ottenemmo che l’udienza dal gup fosse fissata al 21 febbraio del 2013. Ma era già tardissimo».



L’AGGRESSIONE

Erano le 18,30 del 28 aprile 2007. De Rosa stava per prendere servizio al commissariato di via Portuense. Sulla strada c’è fila. A un certo punto sbuca davanti a lui un’auto contromano che supera la coda a tutta velocità. È quella dei boxeur. De Rosa si accosta, con la mano fa cenno loro di fermarsi. Quelli sì, si fermano, ma l’autista scende e urla: «Che c... vuoi?». De Rosa, che è in borghese, mostra il tesserino: «Devi andare più piano». «Se non te ne vai t’ammazzo», la risposta. Anche l’altro si avvicina ed ecco che i due sferrano contro l’agente una pioggia di colpi. «Al primo destro sono caduto a terra, non capivo più niente - continua il poliziotto - non vedevo più da un occhio, perdevo sangue. È arrivata l’ambulanza che mi ha portato in ospedale».



Sul posto accorrono i colleghi del commissariato. Per fermare i due che si accaniscono su di lui, i poliziotti esplodono anche un colpo di pistola in aria. «Si scoprirà poi che C.S. era recidivo - continua l’avvocato -. Quelle due furie non si sono placate nemmeno davanti a un poliziotto che ha fatto solo il suo dovere. Figuriamoci se avessero avuto di fronte un normale cittadino. Già mi stupisco che non siano stati arrestati subito, ma lasciarli impuniti, senza nemmeno giudicarli in un processo, è un fatto gravissimo, una condotta imperdonabile».
© RIPRODUZIONE RISERVATA