Ma il conto lo paga solo Roma

di Mario Ajello
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Giovedì 8 Ottobre 2015, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 9 Ottobre, 09:54
Una città come Roma non va sottovalutata. E Ignazio Marino sconta anzitutto questo: non essersi rapportato alla Capitale in quella maniera, fatta di vicinanza fisica nei momenti di bisogno, di leadership fortemente percepita, di pragmatismo e insieme di visione, di risoluzione pratica dei problemi quotidiani dei cittadini, che Roma richiede sempre e in particolare in periodi speciali come questo. C’è perfino qualcosa di paradossale in questa sottovalutazione, da parte del sindaco, che ha portato all’epilogo che abbiamo sotto gli occhi. Egli doveva essere l’uomo della questione morale e scivola proprio sulla questione morale che è stato il suo cavallo di battaglia e il terreno privilegiato su cui ha cercato di costruire la proprio identità e basare la differenza rispetto al contesto generale.

Marino cade, o si avvicina alla fase conclusiva, per una storia di scontrini in una città che non può fare sconti a nessuno, anzitutto a chi la governa. Il cul-de-sac in cui è finito il sindaco, se lo è costruito con le proprie mani. Se avesse la consapevolezza di aver fatto una cosa corretta, con i conti dei suoi pranzi e delle sue cene, non avrebbe adesso bisogno di restituire i soldi.



Se avesse fatto invece una cosa scorretta, non basterebbe ora la restituzione del denaro. Perchè questi ventimila euro che ha deciso di rimettere nelle casse comunali non restituiscono al sindaco la fiducia perduta.



L’OSTACOLO

Il paradosso di Marino è dunque quello di un sindaco che si è saputo districare tra ostacoli grandi, che è riuscito miracolosamente a superare scogli difficili, che sia pure a stento è rimasto in sella nelle curve a gomito, ed è sbandato poi sul rettilineo. Scontrandosi contro l’ostacolo più grosso di tutti. Che è rappresentato da se stesso. Dalle proprie parole di queste ore che vengono percepite come bugie. Da quella sua natura di marziano che sembrava, a dispetto di tutto e di tutti, poter essere la sua forza e invece si è rivelata il suo punto di caduta. Nella sottovalutazione complessiva, evidentemente, Marino ha sottovalutato anche Marino. E alla fine è stato sconfitto da Marino. Precipitando su una questione di note spese, lui che era riuscito a non precipitare dove tanti invece erano caduti, ossia nel buco di Mafia Capitale da cui è uscito indenne.

L’approccio marziano va bene finchè significa estraneità a certe pratiche e lontananza rispetto a certe dinamiche in uso nei partiti. Ma una cosa è il marziano a Roma e un’altra cosa è il sindaco dell’altrove. Che stenta cioè a capire, per esempio, quanto sia semplice ma rassicurante lanciare il messaggio che il primo cittadino c’è sempre, e non sta viaggiando, quando la sua città e chi la abita hanno bisogno di lui. Ha sottovalutato anche questo Marino: l’esigenza di contatto fisico che i romani vogliono avere con le istituzioni. Il sentirlo il sindaco della porta accanto.



LA CONSAPEVOLEZZA

Farsi carico di una Capitale richiede insomma un surplus di consapevolezza che sembra essere mancato. Marino ha rifiutato l’ombra del commissario prefettizio, ha scherzato riguardo a Franco Gabrielli («E’ la mia badante») e però alla fine si è comportato proprio come chi ha bisogno di un tutore. E il gesto finale della restituzione dei soldi non è un atto riparatore che può rimettere in ordine tutto. Il beau geste non basta. Ricorrervi rappresenta la riprova di un approccio estemporaneo ai problemi e di una certa leggerezza di tocco che è inapplicabile, o destinata a risultare inefficace, in un contesto così deteriorato e alla vigilia di appuntamenti cruciali come il Giubileo. L’acquiescenza con cui il sindaco ha accettato la decisione di celebrare l’Anno Santo in una città così disastrata rischia di provocare l’ennesimo paradosso. Ossia di trasformare il Giubileo da trampolino e da volano in un esame insuperabile. Da parte di chi sul Campidoglio si è fatto trovare impreparato e ha accettato la sfida con leggerezza.

Il vero conto di questa storia non sono perciò i ventimila euro e a pagarlo duramente è Roma.

Mario Ajello

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