Roma, arriva un supercommissario
così Renzi blinda la Capitale

Roma, arriva un supercommissario così Renzi blinda la Capitale
di Alberto Gentili
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Martedì 13 Ottobre 2015, 08:08 - Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre, 08:21

Nessun nome e nessuna decisione. Il previsto incontro tra Matteo Renzi e Angelino Alfano dedicato alla scelta del commissario da insediare in Campidoglio si è chiuso, ancora prima di cominciare, con un time-out: «C'è ancora tempo, almeno 20 giorni. Ne parleremo dopo il Consiglio dei ministri dedicato alla legge di stabilità». Venerdì prossimo.

Eppure qualche indicazione da palazzo Chigi e dal Nazareno trapela.

Per prima cosa sembrano in calo le quotazioni del magistrato-assessore Alfonso Sabella. Il ministro Alfano, che per legge deve indicare il nome del commissario da nominare, è contrario all'ipotesi di un magistrato: per prassi l'incarico è sempre stato affidato a un prefetto o a un dirigente della PA. Salgono così le quotazioni di Mario Morcone, Bruno Frattasi, Luigi Varratta, Angelo Tranfaglia, Riccardo Carpino e Domenico Vulpiani.

Tutti, appunto, con il grado di prefetto. Ma non è escluso che il governo, vista l'importanza della Capitale, possa decidere di puntare su un grand commis. Sembra invece cadere l'ipotesi del super-manager: servirebbe una legge e 3mila euro di compenso mensile non invogliano i grandi nomi. Sabella, insieme a Marco Causi (vicesindaco uscente) e a Stefano Esposito (assessore ai trasporti), potrebbero però affiancare il super-commissario.

L'IDENTIKIT

Di certo, c'è che in queste ore si sta delineando l'identikit. Il super-commissario (e la sua mega-struttura di 9 membri) dovrà essere autorevole, competente e soprattutto «cinghia di trasmissione tra il governo e il Campidoglio per le opere del Giubileo». Perché, come dice il vicepresidente del Pd Matteo Ricci, «Renzi ha deciso di metterci la faccia». Non a caso l'altra sera il premier ha garantito: «Il Giubileo sarà un successo com'è stata l'Expo».

«MEGLIO TARDI CHE MAI»

Sull'addio di Marino, da palazzo Chigi esce solo una battuta: «Meglio tardi che mai». Ma il premier e il Pd hanno tirato un respiro di sollievo: sfiduciare il proprio sindaco sarebbe stato un disastro. Avrebbe reso la situazione del Pd romano ancora più drammatica. Tanto più che, giorno dopo giorno, Renzi è sempre più convinto che per andare alla elezioni con una minima chance di arrivare al ballottaggio, è indispensabile azzerare e rifondare il partito della Capitale. Rendendolo a propria immagine e somiglianza.

Per scongiurare che scatti subito il toto-candidato, il premier e segretario del Pd ha fatto sapere che della materia se ne occuperà dopo l'8 dicembre, dopo l'avvio del Giubileo. La spiegazione la dà Matteo Orfini, commissario romano e presidente del partito: «Dobbiamo prima mettere in sicurezza questo grande evento, preparare e rendere migliore la città all'Anno Santo completando i lavori. Solo dopo ci occuperemo dei possibili candidati».

Il problema è che molti già si chiamano fuori. Il primo è stato il prefetto Franco Gabrielli. Poi Raffaele Cantone, presidente dell'Anti-corruzione. E ieri si è fatto da parte il governatore del Lazio Nicola Zingaretti. Eppure, Renzi avrebbe puntato volentieri proprio su Gabrielli. Lo schema valido per il premier è quello di Milano dove vorrebbe al Comune il commissario all'Expo Giuseppe Sala. E i renziani del cerchio ristretto sono convinti che il premier non si arrenderà al niet del prefetto: «Gabrielli sarebbe il candidato ideale vista l'autorevolezza e la stima che gode tra i cittadini. Matteo farà di tutto per fargli cambiare idea».

Quel che è certo è che l'identikit tracciato da Renzi porta a una «personalità di indiscutibile prestigio e autorevolezza». «E questo anche perché», spiega un renziano doc, «la politica deve dimostrare ai cittadini di saper offrire soluzioni all'altezza della Capitale». Inutile dire che se Renzi riuscirà ad individuare un candidato di questo calibro, poi non lo getterà nella macelleria delle primarie. «Queste si faranno», spiegano al Nazareno, «ma saranno più un'incoronazione, un'investitura popolare, che delle primarie divisive simili a quelle che hanno portato Marino in Campidoglio». E le primarie si potrebbero svolgere tutte insieme, in una sorta di election day, il 7 febbraio: data già scelta per le consultazioni di Milano.

A complicare la partita potrebbe però esserci la lista civica guidata dal sindaco uscente. Ogni atto di Marino sembra portare a questo epilogo, compresa la decisione di presenziare (come parte civile) alla prima udienza nel processo contro mafia capitale. E sia Sel che l'ex dem Stefano Fassina (ieri c'è stato un incontro) guardano con interesse alle mosse di Marino. Questo perché i primi sondaggi danno la lista civica dell'ex chirurgo intorno all'8%. Non molto, ma si tratta di una cifra capace di tagliare fuori dal ballottaggio il candidato del Pd, a tutto vantaggio di grillini e centrodestra. Al Nazareno però non si mostrano allarmati: «Domenica ci saranno state 700-800 persone a sostenere Marino in Campidoglio, ieri una decina. Per un sindaco, ancorché uscente, non è certamente una popolarità entusiasmante...».

Il problema è che Marino sta esplorando anche l'ipotesi di concorrere alle primarie. E qui il Pd è davanti a un bivio. C'è chi suggerisce di “disarmare” il sindaco uscente offrendogli qualche incarico. Oppure di impedirgli di correre alle primarie. E c'è chi sta già studiando un regolamento per tagliare fuori tutti gli indagati. «Perché è quasi scontato», sostengono al Nazareno «che dopo la vicenda degli scontrini, Ignazio verrà indagato per peculato e falso».

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