Rom, tra sgomberi e nuove case il piano Marino ancora non c'è

Rom, tra sgomberi e nuove case il piano Marino ancora non c'è
di Fabio Rossi
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Venerdì 29 Maggio 2015, 06:28 - Ultimo aggiornamento: 08:39
Due decenni di tentativi vani, per una Capitale che dovrebbe trovare una volta per tutte la ricetta per gestire l'emergenza nomadi. Dopo anni di piani presentati come la chiave di volta della situazione e poi regolarmente falliti. Il piano dell'amministrazione di Ignazio Marino ancora non c'è, nonostante le indiscrezioni e le fughe in avanti di qualche assessore negli ultimi mesi e l'intenzione dichiarata di utilizzare l'Anno santo straordinario per mettere in campo nuove soluzioni.



La strategia dovrebbe essere divisa in due fasi. La prima sarà necessariamente soft: ai nomadi sarà proposto di trovare sistemazioni legali e decorose nella Capitale, dai posti ancora disponibili nei villaggi della solidarietà già esistenti ai bandi per l'assistenza alloggiativa che saranno lanciati con la fine della politica dei residence. Un'idea, quest'ultima, che però, divide la città. Contemporaneamente, però, sarà ridotta fino a esaurimento qualsiasi forma di incentivo per i campi abusivi, dalla fornitura gratuita di energia elettrica agli altri interventi finanziati con fondi capitolini. Un'opera che continuerà progressivamente, fino alla chiusura di quello che resterà degli insediamenti illegali. Il senso sarà: avete l'opportunità di mettervi in regola, ma se proprio non volete non potrete continuare a vivere nell'illegalità e nel degrado. Funzionerà? Viste le recenti esperienze, è lecito nutrire qualche dubbio.



I PRECEDENTI

I primo tentativi, sporadici, di trovare una sistemazione stabile per i nomadi a Roma risalgono alla fine degli anni Ottanta, quando l'allora sindaco Nicola Signorello decise di trasferire «temporaneamente» i rom che vivevano accampati sul lungotevere nel campo della Muratella. L'insediamento, per la cronaca, durò per una quindicina d'anni, fino a quando l'amministrazione di Walter Veltroni decise di spostare i nomadi nel villaggio di accoglienza di via Nomentana, affidando l'operazione agli uomini di Antonio Di Maggio, attuale vice comandante della polizia municipale. Proprio a Veltroni si deve il primo tentativo di trovare una soluzione organica.



I TENTATIVI

E' il 2002 quando la giunta capitolina pensa di ridurre i 29 campi di allora, di cui 23 abusivi, in 18 aree organizzate dal Comune, con sei aree di sosta temporanea e 12 villaggi attrezzati. Nel secondo mandato, Veltroni stringe il patto per la legalità, insieme a Regione e Provincia (in quel periodo tutte a maggioranza di centrosinistra) con il prefetto Achille Serra.



Nasce la figura dei villaggi della solidarietà - l'idea era crearne quattro, capaci di ospitare un migliaio di persone ciascuno - che avrebbero dovuto superare definitivamente il concetto tradizionale di campo nomadi. Ma le proteste dei cittadini dei vari quadranti ipotizzati, in un periodo di allarme per la sicurezza, fanno passare il piano in cavalleria. Vano anche il patto per la sicurezza lanciato nel 2007 da Giuliano Amato, allora nella veste di ministro dell'Interno.



IL CENTRODESTRA

La musica non cambia, nonostante le premesse, con la prima giunta di centrodestra insediata a Palazzo Senatorio. Dopo aver inserito la questione dei campi rom nell'agenda elettorale, Gianni Alemanno paga nei primi mesi le frizioni con il prefetto Carlo Mosca. Quest'ultimo prima riceve dal Viminale (ora guidato da Roberto Maroni) l'incarico di commissario per l'emergenza nomadi di Roma, poi viene accusato dallo staff del sindaco di essere «troppo morbido» sulla questione.



Mosca dopo pochi mesi viene sostituito da Giuseppe Pecoraro, che con la benedizione di ministero e Campidoglio lancia nel 2009 il patto per Roma sicura, condito dal nuovo regolamento dei campi nomadi redatto dall'assessore alle politiche sociali Sveva Belviso. Obiettivo dichiarato: legalizzare e migliorare le condizioni delle etnie rom, eliminando i focolai di abusivismo e costruendo 13 campi autorizzati in periferia per non più di 6 mila nomadi, tutti provvisti di documento.



Nel dettaglio si trattava di chiudere i grandi campi “tollerati” e la miriade di insediamenti abusivi sparsi sul territorio, di ristrutturare alcuni campi “autorizzati” e di costruirne due ex novo. Quattro anni dopo, però, i risultati sono stati ben al di sotto delle aspettative, con l'inchiesta Mafia Capitale che ha gettato ombre fosche sulla gestione dell'intero procedimento.