Marino, lo sfogo velenoso: «Ora questa città si merita i grillini»

Marino, lo sfogo velenoso: «Ora questa città si merita i grillini»
di Simone Canettieri
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Sabato 31 Ottobre 2015, 03:46 - Ultimo aggiornamento: 14:33
È solo nel suo studio, mai così grande, con vista sui Fori. Il tapis roulant è smontato. Scruta le agenzie di stampa, come se fossero bollettini medici. Mancano pochi minuti alle 18. Ignazio Marino sta per non essere più sindaco di Roma. La notizia gliela dà Roberto Tricarico, il torinese, braccio ambidestro: «E' finita, Ignazio, sono entrati dal segretario generale».



E qui c'è il Marino che un po' tutti conoscono. La prima reazione è asettica, marzianeggiante: «Bene, mi faccio una doccia e vado in conferenza stampa». La seconda è uno sfogo. Forse un testamento. Chissà, una profezia: «Il Pd si è suicidato, questa città finirà nelle mani dei Cinque Stelle, gli unici a non essere coinvolti, Roma si merita i grillini al governo».



Dopo di me, il diluvio. Intanto, iniziamo con una doccia. Finisce così la sua giornata da primo cittadino, nella sala della Protomoteca, blindato dalla scorta che tra poche settimane gli sarà alleggerita. Le ha provate tutte per resistere. Compreso un contatto con Giorgio Napolitano. La telefonata è di pochi giorni fa. «Presidente, parli lei con Renzi. Non si può finire così». Non è data sapere la risposta dell'ex inquilino del Quirinale, ma il risultato è sotto gli occhi di tutti. «Ignazio ha un sangue freddo fuori dal normale - si sfoga Tricarico - un altro politico al suo posto a quest'ora sarebbe schiattato».



LA FINE

L'ultima giornata da sindaco racchiude alla grande questi ultimi giorni barricaderi e poco lineari. Di prima mattina, quando sa che «i congiurati sono al lavoro» fa il primo gesto simbolico. E dopo Che Guevara, allarga il Pantheon. Scopre una targa di un parco dedicato a Salvator Allende (analogia, un bel po' forzata, girata alla grande negli ultimi giorni) trovando il tempo di citarlo: «Non sono un martire ma uno che lotta». Poi un blitz in Campidoglio, prima di passare all'Auditorium per presentare il nuovo cda. La scenografia è da X Factor. Sfondo blu, musica in sottofondo, poltroncine rosse. Parla di cultura davanti a un plotone di giornalisti, che vogliono però sapere altro. Per esempio dell'indagine.



Finisce la conferenza stampa e dallo staff annunciano: «Ora il sindaco esce un attimo fuori poi rientra per un punto stampa». C'è sempre una sostenitrice riccia in questi giorni che lo insegue e lo abbraccia in ogni occasione: «Resisti». Accade anche qui. Si avvicina un pensionato: «I genovesi fanno una brutta fine. Andrai anche tu in esilio come Mazzini?». Marino, più alto e più magro del solito, lo guarda: «No, e perché dovrei?». Segue una mini conferenza stampa surreale. E' solo, qui all'Auditorium, davanti alle telecamere. Parla, fa l'ultimo appello al Pd: «Voglio parlare in Aula, sono ostinato». Da dietro Tricarico e Chiara Romanello, la vice capo ufficio stampa, gli strattona la poltroncina: basta così, prof, mi dia retta, andiamocene. In mano un foglietto con alcuni appunti scritti con la penna verde. Ci sono le cose da portarsi via dal Campidoglio (cassetti, foto tessere, scatole eleganti, piccolo mappamondo).



Sono le 13, ma la lista fa pensare che nemmeno un miracolo potrà salvarlo. Nemmeno il Papa che domani non vedrà al Verano. Non è più sindaco, non è invitato, verrebbe da dire con una battuta fin troppo consumata. «Adesso mi prenderò un po' di relax», ha promesso alla figlia, che vive a Londra, via Skype. Ma da martedì è pronto a ritornare all'offensiva. Ha già accettato un invito in tv (da Floris su La7). Attaccherà. Come ha fatto ieri. Poi muto fino a dicembre quando deciderà se continuare con la politica o se ritornare alla medicina magari in America (in molti ieri hanno notato il continuo richiamo «ad altri Paesi che ci stanno guardando» durante la conferenza stampa). Per ora resta la profezia: «Vinceranno i grillini».



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