La ferita di Roma per un’operazione politica sbagliata

di Virman Cusenza
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Giovedì 8 Ottobre 2015, 23:24 - Ultimo aggiornamento: 9 Ottobre, 00:39
C’è un momento della verità nella vita di qualunque politico, grande o piccola che sia la poltrona che occupa. Quello in cui deve scegliere tra il bene della cosa che amministra e il tornaconto personale. In una parola, tra i cittadini che l’hanno eletto e se stesso. A questo cruciale passaggio, mentre Roma brucia, Ignazio Marino si è presentato con l’elmetto di chi resiste asserragliato nel bunker, mentre amici e nemici gli indicano la porta salutare dell’uscita. Un gesto puramente egoistico evitato soltanto in extremis, a tarda sera e in maniera confusa, con tanto di coda velenosa. Speriamo che non diventi una farsa.

Questo è stato l’epilogo di un’operazione politica sbagliata. Una candidatura nata da una faida dentro il Pd dell’era bersaniana per mano di alcuni “senatori” protagonisti di vecchie stagioni e finita con una scheggia impazzita (il sindaco uscente) contro il partito che l’ha scelto, l’ha fatto eleggere e lo ha sostenuto.

Speriamo se ne tragga una lezione salutare, non solo per il partito democratico che oggi nella Capitale raccoglie le macerie di una breve stagione all’insegna dell’emergenza continua. Fare il sindaco è una cosa seria. Un compito a cui in un certo senso ci si prepara da una vita: per vocazione e per esperienza. Non si passa con disinvoltura dal bisturi al timone di un transatlantico, pena un elevato rischio fallimento. Tranne che, dopo un secolo e tanti disastri, non si voglia ancora dare ragione a Lenin che credeva nel «governo delle cuoche».



Non c’è dubbio che sulla questione Roma, bruciante emergenza, ci sia stato un ritardo collettivo della politica. Andava gestito più tempestivamente ed energicamente il dossier Capitale, quando nella tarda primavera di quest’anno c’era ancora un problema di inadeguatezza di classe dirigente (a cominciare dal sindaco). Oggi invece il Pd e il suo presidente Orfini si ritrovano nella incresciosa situazione di dover licenziare su due piedi colui che avevano sostenuto fino a qualche ora prima, rinnovandogli fiducia e addirittura tentando vanamente di rafforzarlo con una squadra di parlamentari. Così, pur schivando il bubbone di Mafia Capitale, ci si è ritrovati a sprofondare nello scandalo note spese. I guai, soprattutto in politica, non si risolvono da soli. Bisogna affrontarli all’istante, anche con costi e ricadute impopolari. Così, non governata e non gestita, la ferita di Roma è diventata una piaga che trasforma in una lotteria il voto nella Capitale in primavera.

Roma, appunto. Una città che si avvia, senza guida e impreparata, all’appuntamento del Giubileo. E che paga ingiustamente un conto salatissimo. Una città che versa l’addizionale Irpef più alta d’Italia e che manca di servizi basilari. Il fallimento della giunta Marino ha comportato un danno di immagine planetario. I primati sulle tv e sulla stampa internazionale? Una litania di insuccessi: dalla paralisi amministrativa alla invivibilità quotidiana. Qualche ingeneroso buontempone l’ha ribattezzata la napoletanizzazione di Roma. Nessuno nega sforzi di cui pure la giunta Marino è stata protagonista (i partiti fuori dalla stanza dei bottoni, progetti di privatizzazioni, risanamento di un bilancio disastrato). Ma pesa lo scollamento tra il sindaco e la sua città. Così la caduta dell’immagine della Capitale ha investito il Paese tutto. Con il venir meno di quel sacrosanto orgoglio che un abitante di Roma dovrebbe vantare, da italiano.

Questo scollamento tra l’amministrazione e la città è figlio anche di un fenomeno che ha assunto negli ultimi anni, pur essendo più antico, dimensioni allarmanti: il solco tra la cosiddetta società civile e l’amministrazione. Il disinteresse, la mancata partecipazione e assunzione di responsabilità da parte non solo delle classi dirigenti di Roma sono alla base della deriva degli ultimi anni. Marino cade anche per non aver saputo attrarre e stimolare questa parte strategica della città e per avere cercato all’estero, altrove, magari in quei controversi viaggi negli Usa, gli stimoli per rigenerare Roma. Non serviva montare su un jet, bastava scendere nel cortile sotto casa.

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