Renzi cerca l'intesa con Bersani su un nome che tenga unito il Pd

Renzi cerca l'intesa con Bersani su un nome che tenga unito il Pd
di Alberto Gentili
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Domenica 25 Gennaio 2015, 06:07 - Ultimo aggiornamento: 16:36

L'imperativo categorico di Matteo Renzi, ora che si fa vicino il D-day del Quirinale, è «partire dal Pd e ricompattare il Pd». Il premier-segretario non vuole correre il rischio di affrontare la madre di tutte le battaglie con alle spalle folti drappelli di guastatori. Così si fa serrata la trattativa per ricucire con Pier Luigi Bersani, dopo il doloroso strappo sulla legge elettorale. E dall'ex segretario arrivano segnali positivi: «Sono i giovanotti a volere lo sfascio e a meditare ritorsioni, qui si tratta di eleggere il capo dello Stato e la questione merita tutta la serietà e la ponderazione possibili. Se Renzi ci offre un nome che non sia figlio del Patto del Nazareno ci stiamo». Tant'è che mercoledì, il giorno che precede la riunione del Parlamento in seduta comune, molto probabilmente verrà celebrato l'atteso faccia a faccia tra Renzi e Bersani.

IL NODO VELTRONI La strada imboccata dal premier, che ha trascorso la giornata a palazzo Chigi, è tutt'altro che in discesa. Per ricompattare il partito e non farsi trovare debole al momento del confronto con Silvio Berlusconi, Renzi sta cercando «un nome che circoscriva al minimo i dissensi e abbia il massimo consenso possibile». E secondo numerosi renziani, il premier avrebbe verificato la possibilità di puntare su Walter Veltroni. Perché gradito a una larga fetta del Pd, apprezzato da Berlusconi, stimato da Gianni Letta e dal patron di Mediaset Fedele Confalonieri. E perché con una indiscutibile esperienza politica e istituzionale.

«Ma in base ai primi sondaggi riservati», allarga le braccia uno stretto collaboratore di Renzi, «proponendo Veltroni si rischierebbe di scatenare una guerra per bande, un verminaio di gelosie, invidie e ripicche degli altri ex segretari esclusi o delle loro correnti».

Da qui l'idea, senza scartare l'opzione-Veltroni, di esplorare candidati «meno blasonati, ma anche meno divisivi». E al Nazareno, che martedì diventerà il centro nevralgico delle consultazioni, si spendono i nomi di Sergio Mattarella, di Pier Carlo Padoan, definiti «nomi più facili». Anche se soprattutto il primo non avrebbe il gradimento pieno dell'ex Cavaliere. Altri ipotesi analizzate: Anna Finocchiaro, molto stimata dai senatori, meno dai deputati, ma senza esperienza internazionale; il sottosegretario Graziano Delrio e il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Ma anche Pierluigi Castagnetti, Pietro Grasso e Pier Ferdinando Casini, candidato trasversale in grado di saldare i due fronti.

Sicura, al momento, è soltanto una cosa: Renzi vuole a tutti i costi raggiungere un accordo con la minoranza guidata da Bersani e da Massimo D'Alema per scongiurare «un brutto epilogo». E il brutto epilogo secondo i renziani sarebbe la candidatura di Giuliano Amato avanzata dalla minoranza del Pd, su cui sarebbe pronto a convergere Berlusconi. «Amato è una persona valida e ha uno standing internazionale adeguato», spiegano al Nazareno, «ma non gode del sostegno dell'opinione pubblica e rappresenterebbe la rottamazione della rottamazione. Insomma, Amato è fuori dallo schema di Matteo, tant'è che a fare il suo nome sono Berlusconi e Bersani. Speriamo di riuscire a far cambiare idea a Pier Luigi...».

Renzi in ogni caso non rivelerà il candidato prima di giovedì mattina, quando riunirà tutti i grandi elettori del Pd a poche ore dalla prima votazione fissata per le tre di pomeriggio. Anzi, molto probabilmente, il premier-segretario scoprirà le carte soltanto sabato: il giorno in cui si procederà alla quarta votazione, quella in cui basterà la maggioranza assoluta (505 voti) per eleggere il nuovo capo dello Stato.

NIENTE ROSE DI NOMI Fino ad allora Renzi ha promesso di voler «ascoltare tutti» i grandi elettori del Pd: «Non voglio lasciare alibi a chi vuole fare il guastatore». E con lui lavoreranno i vicesegretari Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, il presidente Matteo Orfini, i capigruppo Luigi Zanda e Roberto Speranza. Tutti mobilitati «permanentemente, notte e giorno», in una sorta di confessionale alla Grande Fratello che raccolga «sfoghi, opinioni, suggerimenti». E anche domani, quando si riuniranno i gruppi parlamentari del Pd, Renzi non parlerà di candidature.

«Andiamo lì per ascoltare, non per fare nomi», spiegano al Nazareno, «dopo di che martedì porteremo le decisioni del Pd al confronto con le altre forze politiche per trovare una condivisione. Senza però accettare veti». Di certo non impressiona il rifiuto dei Cinquestelle: «Non è una novità che i grillini, quando c'è da assumersi una responsabilità, fuggano a gambe levate», taglia corto Guerini.

La strategia di Renzi non prevede rose. A Berlusconi e ad Angelino Alfano, «il Pd proporrà un solo candidato», spiega il premier, «non voglio commettere gli errori del passato quando poi fu Berlusconi a pescare il nome dalla terna di Bersani. Il prossimo presidente della Repubblica lo sceglie il Pd». Parole utili per tentare di ricompattare il partito e provare a scongiurare agguati.