Colle, Renzi conta le truppe: la sinistra unita parte da 588 elettori

Colle, Renzi conta le truppe: la sinistra unita parte da 588 elettori
di Alberto Gentili
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Giovedì 29 Gennaio 2015, 06:01 - Ultimo aggiornamento: 08:28
Alle sette di sera, dopo l'ennesima riunione con Matteo Orfini e Lorenzo Guerini, Luigi Zanda e Roberto Speranza, Matteo Renzi ai plenipotenziari del Pd ha dato una sola consegna: «Passiamo la notte a sondare uno a uno i nostri parlamentari, dobbiamo valutare al millesimo i voti che andrebbero ai vari candidati. Poi domattina decidiamo».

Insomma, la partita del Quirinale è ancora aperta. In stallo. E questo nel giorno in cui si riuniscono i grandi elettori e scatta la prima votazione. «Nulla di drammatico, una soluzione si troverà, l'elezione del capo dello Stato non è mai stata cosa facile. L'importante è tenere unito il Pd», sostengono a palazzo Chigi. «Si parte con Mattarella e si arriva con Mattarella», tuona Guerini con un piglio insolito per un politico di scuola dorotea.



ESPLORAZIONE NOTTURNA

Eppure, la consegna impartita da Renzi ai suoi, riuniti nella stanza del governo di Montecitorio dopo il lunghissimo pranzo con Silvio Berlusconi, dice qualcosa di più. Dice che in campo, in pole position, c'è Sergio Mattarella, fortissimamente voluto dal premier-segretario. Con la speranza di convincere alla fine Silvio Berlusconi. C'è, ma molto indietro, Giuliano Amato (ricevuto in serata a palazzo Chigi), sponsorizzato dal capo di Forza Italia e sostenuto dalla minoranza bersanian-dalemiana. Ma come dice uno dei partecipanti al vertice di Montecitorio, «il quadro non si limita a questi due nomi, in campo ci sono anche Padoan, Fassino, Veltroni e Anna Finocchiaro». Tutti passati ai raggi X, pesati al grammo, analizzati in base al rischio potenziale dei franchi tiratori.



Il fatto che tornino in lizza gli ex segretari è il segno che la minoranza dem ha aperto una piccola breccia. Per Piero Fassino e Walter Veltroni. Ma anche, più riservatamente, per Pier Luigi Bersani: «Non capisco perché», diceva in serata il bersaniano doc Nico Stumpo, «se si valutano Veltroni e Fassino, non si debba valutare anche l'opzione rappresentata da Pierluigi, uno che nel partito ha più voti di tutti».

Mattarella però resta la prima scelta di Renzi, che vuole andare avanti con votazioni a oltranza «per chiudere quanto prima»: «Nonostante il no di Berlusconi sono determinato a sostenere Sergio, uno che fa parte della nostra storia», ha spiegato il premier, «ha un profilo prestigioso, è una scelta raccontabile al Paese al contrario di Amato. In più Mattarella è un emblema dell'antimafia e ha esperienza politico-istituzionale altissima».



LA SVOLTA A SINISTRA

Più o meno le parole spese quando ha ricevuto Berlusconi a pranzo. Quando ha detto: «Non posso non proporre uno del Pd, devo tenere unito il partito e mettere in secondo piano il patto tra di noi». E quando ha rigettato il veto dell'ex Cavaliere su Mattarella, svoltando a sinistra: «Guarda che sono pronto ad andare avanti da solo. Dalla mia ho già 588 voti, i 445 del quelli del Pd, i 32 di Scelta civica, i 32 del gruppo per le Autonomie, i 32 degli ex Cinquestelle, i 13 di Per l'Italia e i 34 di Sel». Non è mancata un'altra minaccia ancora più fastidiosa per Berlusconi: «Attento, se mi fai cambiare gioco potrei proporre Raffaele Cantone», il capo dell'Anticorruzione. O addirittura Romano Prodi, se il nome del Professore dovesse crescere nell'urna dalla prima votazione.



In molti scommettono che si tratti di un bluff. Perché sfidando il centrodestra con appena 588 vorrebbe dire consegnarsi nelle mani dei franchi tiratori. «E perché», come racconta un partecipante al vertice serale con il premier, «Matteo ha fatto capire di non avere alcuna intenzione di stracciare il Patto del Nazareno ed è tuttora determinato a eleggere il nuovo capo dello Stato con la massima condivisione possibile. Dunque, probabilmente, il no di Forza Italia a Mattarella non è granitico». In ogni caso, per marcare la sua autonomia da Berlusconi e per tenere compatto il partito, aprendo a Sel e agli ex grillini, Renzi non conferma l'incontro per questa mattina annunciato dall'ex Cavaliere.



Che sia Mattarella il nome a lui più gradito, Renzi l'ha detto anche a Pier Ferdinando Casini quando l'ha ricevuto prima di pranzo. Spiegando che il Pd non reggerebbe di fronte alle candidature avanzate dal centrodestra. Angelino Alfano, informato poco dopo, ha fatto un pronostico: «Nessuno ha l'obbligo di accettare i nostri, ma non ci venissero a dire che i democratici non li voterebbero. Vorrà dire che ci rivedremo dopo il quarto o il quinto scrutinio...». Della serie: caro Matteo, sei destinato al fallimento se continui a puntare su Mattarella.

Un'ipotesi che allarma Renzi. E che lo fa imbufalire. Tant'è, che tra i renziani è tornata ad aleggiare la minaccia delle elezioni anticipate: «Matteo ha sempre detto che se dopo la figuraccia del 2013 il Parlamento non dimostrasse la maturità necessaria in occasione dell'elezione del capo dello Stato, queste Camere meriterebbero di essere sciolte».



L'OPZIONE PADOAN

Tattica. Guerra psicologica. Di sicuro la partita degli ex segretari, a parte l'ipotesi-Fassino, non piace al premier. La giudica «un passo indietro». E se davvero dovesse rinunciare a Mattarella («ma la sua candidatura sta crescendo»), la seconda opzione di Renzi sarebbe Pier Carlo Padoan, anche se ha detto che la scelta dovrebbe cadere su un politico. Da giorni, segretamente, ha sondato il partito sul nome del ministro dell'Economia. E se ha fatto marcia indietro, è stato soltanto a causa del niet di Bersani. Però in realtà una situazione di stallo potrebbe rilanciare Padoan, permettendo a Renzi di avere un più diretto controllo del dicastero di via XX Settembre e di allontanare una volta per tutte il pericolo di una diarchia nella politica economica. In più sarebbe l'innesco giusto per un rimpasto di governo. Sullo sfondo resta l'ipotesi Finocchiaro e la candidatura terza di Casini.