Pedofilia, il Vaticano: «Non tutti in Europa combattono gli abusi»

Pedofilia, il Vaticano: «Non tutti in Europa combattono gli abusi»
di Franca Giansoldati
3 Minuti di Lettura
Venerdì 26 Settembre 2014, 06:09 - Ultimo aggiornamento: 16:22

CITTA' DEL VATICANO - L'ultimo tassello della strategia anti-pedofilia di Papa Bergoglio dedicata alle vittime.

Come soccorrerle, anche a distanza di tantissimi anni, come ascoltarle, come comprenderle. A guidarla ha voluto che ci fosse un gesuita, padre Hans Zollner; alla Gregoriana ha anche aperto un centro di ascolto. La Commissione per la tutela dei minori che presiede include psichiatri, psicologi, pedagogisti, giuristi e anche alcune vittime, come Marie Collins, una signora irlandese di 60 anni, violentata da un cappellano di ospedale quando ne aveva 13. «E' lei che, l'anno scorso, ha voluto parlare della sua esperienza davanti ad una platea di vescovi e di generali di ordini religiosi».

Padre Zollner le vittime dei preti-orchi riescono a guarire dalle ferite interne?

«Ogni storia è un caso a sé. Da quello che stiamo vedendo, le vittime possono superare i traumi gravissimi se si sentono accolte e ascoltate. La stessa Marie Collins a me ha detto che dopo avere raccontato ai vescovi la sua storia ha compreso cosa volesse dire riconciliazione. Si tratta di un processo interni difficile, traumatico, pesante. Un'altra vittima, stavolta una signora tedesca che ho condotto davanti a Papa Bergoglio, mi ha confessato che quell'incontro per lei è stato risolutivo. E' riuscita a guarire persino da una serie di dolori psicosomatici che la torturavano da anni».

Le storie che ascoltate sono molto simili?

«Affatto. Non esiste una fattispecie univoca né per l'abusatore, né per la vittima. Non si può fare una casistica sui percorsi psicologici di coloro che subiscono violenza. A volte ci possono essere ricadute depressive, anche a distanza di tempo. Parliamo di esperienze che ti segnano dentro e probabilmente non se ne andranno mai».

Le vittime con le quali siete entrati in contatto, vi chiedono denaro?

«I risarcimenti in genere non fanno parte delle priorità di queste persone tanto provate. La stragrande maggioranza si aspetta ascolto incondizionato, pazienza, misericordia. Vuole ritrovare fiducia in una istituzione, in un percorso spirituale, in una dimensione umana. A volte ci contattano sapendo che l'abusatore è ormai morto. Cercano giustizia, soprattutto una giustizia superiore. Ricordo un particolare significativo...».

Quale?

«Nel 2010 i vescovi tedeschi aprirono una linea telefonica, una specie di numero verde, per dare la possibilità a coloro che avevano subito violenze, anche nel passato, di palesarsi. Affiorarono centinaia di casi. Quasi tutti desideravano ascolto, non denaro».

Lei ha portato da Bergoglio un gruppo di vittime. Perchè?

«E' stato lui a volerlo. Si è ritagliato una mattinata. Ha parlato a lungo, ascoltato, interloquito, fatto domande. Incontro toccante. C'erano due vittime irlandesi, due inglesi e due tedesche. Tre maschi e tre femmine. Alcune vittime di fatti lontani nel tempo e altri più recenti».

A che punto è il vostro lavoro?

«Abbiamo raccolto materiale, aspettiamo nuovi membri e siamo pronti a prendere visione delle linee guida che le conferenze episcopali stanno preparando. Bisogna fare di tutto per rendere gli ambienti sicuri».

Quale è il Paese europeo che finora si è adeguato maggiormente?

« L'Irlanda è quello che ha creato le strutture più pulite, affidabili. Hanno un sistema che sta monitorando tutto e tutti. Purtroppo in alcuni Paesi dell'Europa orientale il messaggio non è ancora arrivato».

Quali?

«Mi vengono in mente la Croazia e l'Ungheria».

E l'Italia?

«Beh, diciamo che la situazione è a macchia di leopardo. Ci sono vescovi come quello di Bressanone che all'avanguardia. Altri meno. Ma la dichiarazione del nuovo segretario della Cei, a proposito dell'arresto dell'ex nunzio, parla di una sensibilità notevole al problema».