Le iperboli sorprendenti di Papa Francesco

di Franco Garelli
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Martedì 20 Gennaio 2015, 23:29 - Ultimo aggiornamento: 21 Gennaio, 00:33
​Discorsi papali che mai si sono esposti in questo modo ai rischi di un colloquio a braccio con i giornalisti o ai pericoli di una comunicazione improvvisata che cerca costantemente di tradurre i concetti in esempi e immagini. Di qui le diverse reazioni che hanno accolto le più recenti esternazioni pubbliche del Pontefice.



Come il messaggio che «per essere cattolici non significa fare figli come i conigli»; o la convinzione che rientri nella norma il fatto che «se uno offende mia madre, può ricevere un pugno»; o ancora la rivelazione che di fronte ad un tentativo di corruzione subìto quando era arcivescovo di Buenos Aires si è chiesto: «Li insulto e gli do un calcio dove non batte mai il sole, oppure faccio lo scemo? E ho fatto lo scemo!» Dunque: un Papa tosto e vigoroso, che non teme che la sua autorevolezza sia messa in discussione dall’uso di un linguaggio tipicamente popolare? Ma, anzi, che si uniforma al sentire e al parlare del popolo per meglio comunicare il suo pensiero e vivere la prossimità alla gente comune? Oppure un Pontefice troppo coinvolto nelle dinamiche umane, al punto da annullare il senso del mistero e del sacro connesso al suo alto ruolo? O che fa rabbrividire quanti ritengono che le figure con grandi responsabilità e carismi (soprattutto in campo spirituale ed etico) debbano esprimersi e comportarsi in modo irreprensibile ed esemplare, anche per evitare di esporsi a improprie interpretazioni?



Il dibattito su questi temi è del tutto aperto e per certi aspetti rovente. Lo sconcerto per un Pontefice che parla un linguaggio inedito per la tradizione della Chiesa, è certamente elevato non soltanto tra i cattolici tradizionalisti, ma anche tra non pochi intellettuali laici che guardano con diffidenza quelle autorità (religiose, politiche) che nell’interpretare il proprio ruolo si mescolano eccessivamente con il popolo, o per eccesso di identificazione o con possibili intenti populistici.



Per contro, è indubbio che – dalle reazioni che si colgono nelle strade e nelle piazze delle nostre città – un Papa che “parla come mangia” (per uniformarci al linguaggio popolare), che sulle impegnative questioni di cui tratta esprime delle posizioni di sano realismo e di buon senso, viene visto come una figura gagliarda, verace, che non si è piegata al linguaggio ovattato della Curia e del Palazzo.



Del resto, al di là di alcune immagini meno riuscite (come quella del pugno) o di un linguaggio un po’ ardito, occorre notare che la maggior parte delle “parole sciolte” del Papa colgono nel segno, hanno un loro preciso significato, immediatamente avvertito dalla gente comune. Qui forse emerge l’effetto di una meta-comunicazione.



Come a dire che Francesco non è tanto preoccupato dell’esattezza e della compiutezza del suo linguaggio diretto; quanto del fatto di comunicare attraverso le parole che sbriciola nel mondo qualcosa che gli sta più a cuore delle parole che riesce a esprimere: che il Papa e la Chiesa stanno dalla parte della gente comune e conoscono a fondo il cuore dell’uomo; che la spontaneità espressiva testimonia già di per sé la voglia di dialogo col mondo; che per lanciare grandi messaggi occorre ancorarsi al sentire diffuso del popolo. Per cui si possono anche correre dei rischi comunicativi se l’orizzonte di riferimento è più ampio delle parole dettate dal cuore.