Il Papa: «Anche io ho provato noia nel sacerdozio. Ma il popolo di Dio regala gioia»

Papa Francesco
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Giovedì 17 Aprile 2014, 13:02 - Ultimo aggiornamento: 21:12
Essere preti una gioia che ha il suo fondamento nell'amore di Dio: Nessuno pi piccolo di un sacerdote lasciato alle sue sole forze. I preti sono «unti», ma non devono essere «untuosi o presuntuosi». Quando cade nei momenti di «tristezza, noia, apatia, isolamento», come è capitato anche al sacerdote e papa Jorge Mario Bergoglio, è il popolo quello «capace di custodire la gioia» e soccorrere il suo prete, «è capace di proteggerti, di abbracciarti, di aiutarti ad aprire il cuore e ritrovare una gioia rinnovata. Le crisi di identità del prete non si risolvono indagando la propria interiorità, bensì in uscita da se stessi, verso i bisogni e i desideri del popolo. Papa Francesco ha celebrato in San Pietro la messa del crisma, che ricorda l'istituzione del sacerdozio, e ne ha approfittato per una ampia spiegazione di come vorrebbe fossero i preti della sua Chiesa, una Chiesa che, ha rimarcato, è «gerarchia» ma anche «casa» per il «servizio e la carità», luogo dove sentirsi a casa. Il modello per questa Chiesa «dalle porte aperte, rifugio per peccatori, focolari per quanti vivono per strada, casa di cura per i malati, campeggio per i giovani, aula di catechesi per i piccoli», è Nostra Signora della prontezza «che accorre a servire sua cugina e sta attenta alla cucina di Cana, dove manca il vino».



L'omelia di oggi va letta vicino a quella che il 14 aprile scorso papa Francesco ha tenuto ai seminaristi di Anagni. Il «sacerdote - ha commentato il papa latinoamericano - è una persona molto piccola: l'incommensurabile grandezza del dono che ci è dato per il ministero - ha detto - ci relega tra i più piccoli degli uomini». Se non ha radice in Cristo, il sacerdote, è il «più povero degli uomini», il «più stolto degli uomini», «il più indifeso dei cristiani» giacché «nessuno è più piccolo di un sacerdote lasciato alle sue sole forze». La gioia sacerdotale, per il Papa, «ha tre caratteristiche significative»: «è una gioia che ci unge (non - ha detto - che rende untuosi, sontuosi, presuntuosi), è una gioia incorruttibile ed è una gioia missionaria che si irradia a tutti e attira tutti, cominciando alla rovescia, cioè dai più lontani». «Anche nei momenti di tristezza, in cui tutto sembra oscurarsi e la vertigine dell'isolamento ci seduce, quei momenti apatici e noiosi che a volte ci colgono nella vita sacerdotale (e attraverso i quali anch'io sono passato), persino in questi momenti - ha ricordato il Papa nella messa del crisma - il popolo di Dio è capace di custodire la gioia». Il sacerdote, ha osservato papa Francesco, «è povero di gioia meramente umana: ha rinunciato a tanto». La sua gioia dunque deve «chiederla al suo popolo e al Signore, non deve procurarsela da sé». «Molti, parlando della crisi di identità sacerdotale, - ha argomentato papa Bergoglio - non tengono conto che l'identità presuppone appartenenza. Non c'è identità - e pertanto gioia di vivere - senza appartenenza attiva e impegnata al popolo fedele di Dio. Il sacerdote che pretende di trovare l'identità sacerdotale indagando introspettivamente nella propria interiorità forse non trova altro che segnali che dicono "uscita": esci da te stesso, esci in cerca di Dio nell'adorazione, esci e dai al tuo popolo ciò che ti è stato affidato, e il tuo popolo avrà cura di farti sentire e gustare chi sei, come ti chiami, qual è la tua identità e ti farà gioire con il cento per uno che il Signore ha promesso ai suoi servi». Durante la messa, rispettando la tradizione, sono stati benedetti gli oli che serviranno durante l'anno liturgico, e sono state rinnovate le promesse sacerdotali. Questo pomeriggio il Papa celebrerà la messa «in Coena Domini», con il rito della lavanda dei piedi, nell'istituto per disabili Don Gnocchi.
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