Intervista al Papa: «Troppe crudeltà
Gli jihadisti in Iraq vanno fermati»

Papa Francesco a bordo dell'aereo che lo ha riportato in Italia dalla Corea
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Martedì 19 Agosto 2014, 11:01 - Ultimo aggiornamento: 20 Agosto, 15:20

dal nostro inviato Franca Giansoldati - A BORDO DELL'AEREO PAPALE

Crudelt intollerabili. L'avanzata dei jihadisti in Iraq va fermata. Non dagli Usa ma dall'Onu. Da bordo dell'aereo che lo sta riportando a Roma, Papa Bergoglio reduce da quattro giorni di fuoco in Corea, si confronta con uno dei più terribili dilemmi morali. Anche le bombe possono essere giustificate per impedire un genocidio? La conferenza con i giornalisti avviene mentre si sorvola lo spazio aereo cinese. «Penso che sia lecito fermare l'aggressore» precisando però che non spetta ad un solo Paese farlo.

La situazione irachena è talmente grave da togliergli il sonno. Prima di partire aveva seriamente preso in esame l'ipotesi di fare tappa ad Erbil, in pieno territorio curdo, tornando da Seul. Avrebbe voluto farlo per dare un segnale. «Se occorre, anche più avanti, sono disposto ad andarci». Gli argomenti affrontati sono svariati. Contempla in futuro le sue dimissioni (nel caso non ce la facesse più a governare come è accaduto a Ratzinger), il desiderio di visitare Pechino, i prossimi viaggi, la vita a Santa Marta, il calcio (è felicissimo per la coppa vinta del San Lorenzo). Sfoggia persino una abbondante dose di autoironia, definendosi un nevrotico che non fa mai vacanze. Ma il pensiero, mentre parla, torna spesso alla inaudita ferocia in Iraq, in Siria e in altre parti del mondo. «Siamo in una specie di terza guerra mondiale a pezzi».

Santità lei approva i bombardamenti americani?

«Quando c'è una aggressione ingiusta, posso dire che è lecito fermare l'aggressore ingiusto. E sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare o fare la guerra, ma fermare. Invece riguardo ai mezzi coi quali intervenire, beh questi dovranno essere valutati. Bisogna avere memoria di quante volte, pur di fermare l'aggressore iniquo, le potenze hanno finito per fare una guerra di conquista. Io penso che una nazione da sola non possa decidere come fermare un aggressore e intervenire. Esistono le Nazioni Unite che sono nate dopo la seconda guerra mondiale. Ora mi parlano dei poveri cristiani che soffrono ma in questo caso ci sono diverse minoranze a patire, e tutti sono uguali davanti a Dio. Disarmare l'aggressore è un diritto che l'umanità possiede».

Lei ha mandato in Iraq il cardinale Filoni in segno di solidarietà. Non vorrebbe recarsi in Kurdistan anche lei e pregare con i profughi?

«Sono ovviamente disponibile a recarmi là. Quando sono iniziate le violenze contro le minoranze ne ho parlato con i miei collaboratori. Abbiamo preso in esame diverse opzioni. Abbiamo subito dato mandato alle nunziature di trasmettere ai governi la nostra preoccupazione, ho scritto al segretario generale dell'Onu, e poi alla fine ho deciso di mandare un inviato. Ci siamo anche detti che tornando da Seul, se fosse stato necessario, avremmo potuto andare fare tappa in Kurdistan. Era una possibilità. In questo momento forse non è la cosa migliore, ma sono disposto a farlo».

Santità stiamo sorvolando la Cina con la quale la Santa Sede non ha rapporti. Lei non avrebbe desiderio d'andare a Pechino?

«All'andata quando stavamo per sorvolarla mi trovavo in cabina di pilotaggio. Il comandante mi ha fatto vedere un registro, mancavano dieci minuti ad entrare nello spazio aereo cinese. Mi ha detto che dovevamo chiedere l'autorizzazione. Una prassi normale. Così ho sentito in diretta come chiedevano l'autorizzazione, e come hanno risposto. Ne sono stato testimone. Tornando al mio posto ho pregato tanto per il nobile e bel popolo cinese, un popolo saggio; io penso ai grandi saggi cinesi, è una storia di sapienza. E' chiaro che ho voglia di andare. Fosse per me anche domani. Noi rispettiamo il popolo cinese. La Chiesa chiede solo la libertà per fare il suo lavoro, e nessuna altra condizione. Siamo aperti ai contatti come sempre. Abbiamo una vera stima per i cinesi. In questi giorni ho meditato sulla lettera che Benedetto XVI aveva inviato a quel popolo. Rileggerla fa bene».

Che viaggi farà nel 2015?

«Il prossimo viaggio è in Albania dove sono riusciti a fare un governo di unità nazionale, e vi è anche un consiglio inter religioso che sta aiutando tanto alla stabilità del Paese. E' l'unico di tutti i Paesi comunisti ad avere applicato per decenni l'ateismo pratico. Durante quel periodo sono state distrutte 1820 chiese. Tra i viaggi prossimi ci sono gli Stati Uniti, a Philadelphia andrò per l'incontro con le famiglie, e poi a parlare al Congresso americano e alle Nazioni Unite. Ho molti inviti, il Messico, la Spagna, il Giappone. Ma a dire il vero non ho ancora deciso».

Che rapporti ci sono tra lei e il Papa emerito Benedetto XVI e dopo l'enciclica avete un progetto comune?

«Ci vediamo spesso. Anche prima di partire sono andato a trovarlo. Lui mi ha inviato, due settimane prima, uno scritto interessante e mi chiedeva una opinione. Abbiamo un rapporto fraterno. Mi fa bene sentirlo e mi incoraggia. La figura del Papa emerito non va più intesa come una eccezione. Visto che la vita si allunga è normale pensare che, in futuro, vi saranno altri Papi emeriti. A una certa età la capacità di governare bene non si ha più, il corpo si stanca anche se la salute resta buona. Ratzinger con il suo gesto nobile e coraggioso ha istituzionalizzato il passaggio. Anche se la cosa fa storcere il naso ad alcuni teologi, penso che il papato emerito sia già una istituzione. E, naturalmente, se io non me la sentissi più, farei lo stesso. Ratzinger ha aperto una porta».

Santità torniamo a quello che sta accadendo nel mondo e la fa soffrire...

«Oggi siamo un mondo in guerra diffusa; qualcuno mi diceva che siamo nella terza guerra mondiale ma a pezzi. Crudeltà: si fanno troppe crudeltà. Sembra che i bambini non contino. Una volta si parlava di guerre convenzionali. Oggi non più. Non dico che le guerre siano una cosa buona, ma oggi lanciano una bomba e fanno morire civili. Dovremmo fermarci e pensare al livello di crudeltà a cui siamo arrivati. Dovrebbe spaventarci. E poi c'è la tortura divenuta uno dei mezzi quasi ordinari dei servizi e per i processi giudiziari. Si tratta di un delitto contro l'umanità e ai cattolici dico che torturare una persona è peccato mortale, peccato grave».

Lei lavora sempre, non riposa mai, niente vacanze. C'è da preoccuparsi per il ritmo che tiene?

«Me lo dicono spesso. Le vacanze le faccio a casa, come sempre. Una volta ho letto un libro che si intitolava: Rallegrati di essere nevrotico. Beh, anche io ho alcune nevrosi. Le nevrosi bisogna trattarle bene, bisogna dar loro il mate ogni giorno. La mia nevrosi è essere troppo attaccato al mio habitat. L'ultima volta che ho fatto una vacanza è stato nel 1975, ero con i gesuiti. Adesso mi sono preso un po' di vacanza a Santa Marta. Luglio e agosto. Dormo di più, ascolto musica, leggo, prego».

Come vive tutta questa popolarità?

«Con gratitudine ringraziando il Signore che il suo popolo sia felice. Interiormente cerco di pensare ai miei peccati e ai miei sbagli per non montarmi la testa. Sono consapevole che tutto questo durerà poco tempo, due o tre anni, e poi andrò anch'io alla Casa del Padre. Ovviamente non è saggio chiedersi questo, ma la popolarità che ho la vivo come pastore per manifestare tante cose».

Che vita fa in Vaticano?

«E' la vita più normale che posso fare. Mi piacerebbe poter uscire ma non si può. All'inizio mi sentivo prigioniero; ora no, sono caduti alcuni muri».

E' felice per la vittoria della sua squadra del cuore, il San Lorenzo?

«Lo vivo con gioia. Una bella notizia dopo il secondo posto del Brasile. Mercoledì vengono a Roma i calciatori, all'udienza. Il San Lorenzo era la squadra che seguivamo sin da bambini. Mio babbo giocava a basket nel San Lorenzo».

Si parla di una prossima enciclica sull'ecologia...

«E' in lavorazione. La bozza che mi hanno fatto avere è enorme e andrà ridotta. Non sarà una cosa facile perché quando si parla di questo argomento non sempre c'è certezza scientifica, in alcuni campi vi sono solo delle ipotesi. Una enciclica essendo magistrale dovrebbe contenere solo cose sicure».

Proprio questa amattina ha celebrato una messa per la riconciliazione tra Corea del Nord e del Sud...

«So bene che la divisione è una sofferenza per i coreani, che ci sono alcuni parenti che non possono ritrovarsi e questo fa soffrire. Prima della messa mi hanno regalato una corona di spine fatta con il filo di ferro che divide le due Coree. Spero tanto per loro. Le due Coree sono sorelle, parlano la stessa lingua. La presidente coreana in perfetto spagnolo mi ha detto: la speranza è l'ultima cosa che si perde».

A che punto è la beatificazione di monsignor Romero?

«Il processo si trovava alla Congregazione della Fede bloccato per prudenza. Ora è stato sbloccato ed è passato alla Congregazione dei Santi e sta seguendo la strada normale. Dipende quindi da come si muove il postulatore. Non ci sono più impedimenti. È molto importante fare in fretta. Per me Romero è un uomo di Dio».

A Gaza la pace è sempre più lontana. Lei a giugno aveva ospitato in Vaticano la preghiera per la pace con Peres e Abu Mazen. Le sembra di avere fallito?

«No, non è stata affatto un fallimento. L'iniziativa di pregare assieme è uscita dai due presidenti. Avrebbero voluto farla in Terra Santa ma non si trovava il posto giusto, era complicato, così ho proposto il Vaticano. Questi due uomini sono uomini di pace e sono davvero convinti che l'unica strada percorribile sia il negoziato il dialogo. La porta si è aperta con la preghiera, ne sono certo e il Signore guarda a quella porta».

Dopo oltre un'ora di domande e risposte papa Francesco va a sedersi davanti. «Grazie per il vostro lavoro».

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