Il caso Capitale/Chiesa-politica, quel confine della laicità da ricostruire

di Franco Garelli
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Giovedì 1 Ottobre 2015, 23:38 - Ultimo aggiornamento: 2 Ottobre, 00:06
La polemica tra il pontefice e il sindaco Marino sul viaggio di quest’ultimo a Philadelphia non è frutto soltanto di un equivoco o di un incidente di percorso tra due figure pubbliche di rilievo, pur caratterizzate da livelli ben diversi di credibilità, autorevolezza, responsabilità.

Dopo quel «non l’ho invitato io», scandito da un Papa teso che così rispondeva a una domanda dei giornalisti sull’aereo che lo riportava a Roma dai dieci giorni trascorsi tra Cuba e l’America; e dopo la replica del sindaco di essere stato invitato dal suo omologo di Philadelphia e di essere stufo di polemiche alimentate ad arte per danneggiare l’immagine di Roma; adesso i “pompieri” al di qua e al di là del Tevere si fanno in quattro per gettare acqua sul fuoco, per ribadire che qualche incomprensione non mette in discussione i rapporti tra la Santa Sede e le Autorità italiane, che rimangono sempre improntati da serenità e correttezza reciproca.

E ciò con buona pace di Monsignor Paglia, vittima improvvida della telefonata scoop col finto Renzi nella quale il presule confida al suo interlocutore che il Papa in questa circostanza si è addirittura «imbestialito», era «furibondo», consegnando dunque all’etere un’immagine di Bergoglio a dir poco inedita. Eppure qualcosa non quadra nella vicenda, il tutto non sembra circoscrivibile a un semplice episodio, e non basta che i rispettivi entourage del Papa e del sindaco ribadiscano che tutto volge al bello.



E più dicono che non c’è più nulla da chiarire, tanto più cresce l’impressione che questa polemica sia la spia di rapporti non sempre limpidi tra l’autorità religiosa e l’autorità civile che convivono in uno stesso territorio. Non intendo ingigantire la posta in gioco, ma certo la vicenda di cui stiamo parlando sembra l’esito marginale di una situazione in cui la sfera religiosa e quella pubblica fanno fatica a rispettare le diverse reciproche competenze, tendono a invadere e condizionare il campo altrui, creando un cortocircuito che può alimentare confusione e aspettative improprie.



Il rischio è di non rispettare quel principio di laicità che deve informare i rapporti tra Stato e Chiesa, tra potere religioso e amministrazione pubblica, nella società pluralistica. Proprio la partita che si sta giocando in questo periodo a Roma sembra suffragare queste riserve. Bergoglio, come si sa, è un Papa che vorrebbe snellire la Chiesa in vista della sua missione spirituale, che la spinge a farsi carico di quanti sono ai margini della stessa Chiesa e del mondo.



A più riprese egli ha affermato che il suo sarà un pontificato breve, soprattutto per la convinzione che un’impronta innovativa avviene in tempi ristretti, prima che la logica della conservazione dell’esistente riprenda il suo corso.



Tra le molte iniziative che da pastore promuove rientra anche l’indizione del nuovo Giubileo (l’Anno Santo della misericordia) reso noto a marzo di quest’anno e che inizierà il prossimo dicembre. Dunque, tempi brevi, assai ravvicinati, alla cui attuazione stanno lavorando vari organismi della Santa Sede, ma che avrà grandi ricadute e non pochi oneri anche per la città chiamata a ospitare un’ingente folla di fedeli.



Sarà certamente, com’è nelle intenzioni del Pontefice, un evento più spirituale che spettacolare, per una Chiesa che non intende coltivare ideali di grandezza ma offrire a se stessa e al suo popolo nuove occasioni di conversione e di riconciliazione. Ma al di là delle buoni intenzioni del Vaticano, quanto la città di Roma (con il caos di un’amministrazione pubblica che si protrae da tempo) è pronta ad ospitare un evento di questo tipo? Quanto è stata concordata in termini realistici questa decisione della Santa Sede con le forze politiche sia locali che nazionali? E ciò tenendo presente, come si accennava, i tempi molto limitati di preparazione di questo evento, di gran lunga più ridotti rispetto a quelli previsti per il Giubileo del Duemila, proclamato da Giovanni Paolo II ben due anni prima del suo inizio.



Quali dinamiche emergono, invece, nel rapporto tra amministrazione pubblica e Santa Sede, sull’altra sponda del Tevere? Da un lato l’impegno per realizzare il Giubileo in tempi ristretti può aver fatto nascere in alcuni responsabili politici l’idea di aver maturato un credito nei confronti del Vaticano, per il servizio pubblico che si rende alla Chiesa. Nel caso di Marino, traspare nettamente l’intenzione di far leva su un rapporto privilegiato con Papa Francesco per riequilibrare almeno in parte le molte critiche che da tempo investono il suo operato, ritenendo trattarsi di un’ “aggressione ingiustificata”, per mano di chi - a suo dire - vorrebbe che nella città nulla cambi.



Di qui il suo attivismo per incontrare il Pontefice, per mostrarsi col tricolore anche nella Philadelphia che abbraccia Bergoglio, nel non perdere occasione nel ricordare di riconoscersi in ciò che Francesco esprime per la Chiesa e per il mondo. Adesso, a parte i gesti mediatici, c’è un appuntamento da affrontare ormai nel segno dell’emergenza. Ci si riuscirà quanto più la sfera politica e quella religiosa sapranno collaborare nel rispetto delle specifiche competenze. Evitando qualsiasi indebita ingerenza.