Università, un Jobs act per assumere i ricercatori: il governo prepara decreto

Università, un Jobs act per assumere i ricercatori: il governo prepara decreto
di Marco Esposito
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Lunedì 21 Settembre 2015, 08:05 - Ultimo aggiornamento: 22 Settembre, 11:09
Chiusa, con qualche batticuore, la Buona Scuola, il governo mette in cantiere la Buona Università. Il primo appuntamento è a Udine, il 2 e 3 ottobre, per una due giorni del Partito democratico dedicata al mondo universitario. Ma l’obiettivo è chiudere il mese con un decreto legge.

Documenti ufficiali non ce ne sono ma sono chiari i tre capisaldi della riforma - autonomia, fine del precariato dei ricercatori e diritto allo studio - così come sono evidenti i due problemi principali: le risorse e il crescente squilibrio Nord-Sud. A coordinare i lavori di Udine sarà la responsabile Istruzione del Pd, la senatrice Francesca Puglisi, la quale ha preparato un testo introduttivo che ha inviato a diverse teste pensanti e addetti ai lavori del mondo universitario e della ricerca.



LA PAROLA CHIAVE

Chi lo ha letto racconta che la parola chiave del documento è appunto autonomia. Autonomia, in particolare, nella scelta dei ricercatori e dei professori, consentendo alle Università il reclutamento con la sola diretta responsabilità del pareggio di bilancio. Questo equivale a dire che il blocco del turnover al 60% per il 2016 potrebbe cadere, o con il decreto legge oppure con una norma nella legge di stabilità. L’autonomia si concretizzerà anche in una semplificazione delle procedure rafforzando il sistema di valutazione gestito dall’Anvur.



I PRECARI

Interessanti novità sono in arrivo per il mondo dei ricercatori, che oggi sono i precari dell’Università. La filosofia è quella seguita con il Jobs Act, sfoltendo la selva di figure contrattuali (assistenti, ricercatori, collaboratori, fascia A, fascia B...) e puntando a una sorta di contratto unico a tutele crescenti, senza step automatici di carriera ma con una sistematica valutazione del merito. «L’Italia - spiega la Puglisi - ha un numero molto basso di ricercatori: 150mila. In Germania sono oltre mezzo milione e in Francia più di 300mila».



Altro punto centrale della riforma è garantire il diritto allo studio, oggi spesso solo sulla carta. La strategia che si dà l’Italia è già tracciata in Europa e prevede un aumento del tasso di laureati nella fascia di età 30-34 anni verso quota 40%. Ciò sarà realizzato con una serie coordinata di misure, la prima delle quali è creare un collegamento tra la scuola superiore e l’università.



Ma è chiaro che non si può aumentare il numero di laureati se non si consentirà alle famiglie meno agiate di pagare gli studi universitari: oggi una metà delle Regioni, in genere del Sud, non riesce neppure a garantire l’erogazione della borsa a tutti gli studenti che ne hanno diritto.



«Dobbiamo superare la vergogna - spiega la senatrice - degli studenti idonei che non ricevono un euro pur avendone diritto. Bisogna definire i livelli essenziali delle prestazioni. Alle Regioni compete la promozione del diritto allo studio e gli assessori regionali sono stati invitati a Udine proprio per affrontare tale tema». Il documento della Puglisi considera centrale il sostegno delle eccellenze tramite un forte collegamento tra le risorse assegnate tramite il Fondo di finanziamento ordinario e le politiche di reclutamento.



LE ECCELLENZE

«Nulla in contrario a premiare chi eccelle - commenta un professore universitario toscano - purché lo si faccia con risorse fresche e non togliendole all’Ffo, che è il fondo ”ordinario” del sistema universitario». Il tema delle risorse in effetti è il primo punto dolente. Nel «documento Puglisi» non c’è nulla che faccia immaginare un incremento di fondi per le università ma soltanto una razionalizzazione dell’esistente.

«Quella è solo una bozza - spiega la senatrice - e io non sono il governo, tuttavia l’indicazione del mio partito è che si debba investire di più in due direzioni: diritto allo studio e assunzione dei giovani ricercatori».



Altro settore delicato è il destino delle Università del Mezzogiorno, colpite negli ultimi tre anni da una stretta più rigida sul turnover (non sulla base del merito, ma proprio per effetto della minore ricchezza del territorio) e da un maggiore taglio di risorse.



NORD & SUD

In pratica in tre anni sono stati spostati da Sud a Nord 700 nuovi ricercatori ed è chiaro che se si sceglie di misurare e premiare la qualità del reclutamento, nelle condizioni date le università del Mezzogiorno partono da una posizione di svantaggio.

Nel documento della Puglisi non c’è un ripensamento della formula introdotta dalla riforma Gelmini, tuttavia non si può escludere che nel decreto legge ci sia spazio per dei correttivi, in modo da dare concretezza a uno degli obiettivi della riforma in arrivo: «Colmare i divari territoriali garantendo trasparenza ed efficacia nella attribuzione dei fondi». Secondo la Puglisi sarà l’autonomia a riscattare il Sud.



Tra gli altri obiettivi c’è un più intenso collegamento con il mondo del lavoro, puntando sui tirocini in azienda C’è infine la sfida nell’utilizzo dei fondi europei per la ricerca. Nella programmazione 2007-2013 l’Italia ha visto sfumare 2 miliardi di euro per il sottodimensionamento del settore, ovvero perché ci sono pochi ricercatori attivi. Il timore è che si possano perdere la metà dei 10 miliardi che lo stato italiano si è impegnato a versare per Horizon2020. Soldi che in effetti si stanno già perdendo.
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