Scuola, Renzi ascolta ma tira dritto: «Niente paletti, sulla riforma non mollo»

Scuola, Renzi ascolta ma tira dritto: «Niente paletti, sulla riforma non mollo»
di Marco Conti
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Domenica 17 Maggio 2015, 06:27 - Ultimo aggiornamento: 09:30
Niente pronostici e nessun paletto sotto il quale o sopra il quale si perde o si vince. Per Matteo Renzi «le elezioni regionali sono elezioni regionali». Punto. Il suo appuntamento con gli elettori non cambia e sta nell'agenda del 2018. Fino a quella data vuole andare avanti con il passo dei mesi trascorsi. Se da qualche giorno si dice disposto al dialogo sulla riforma della scuola, è «per non far dispetto a quanti in buona fede fanno proposte concrete» di modifica della riforma Giannini e ai tanti candidati presidenti e consiglieri regionali del Pd che tra due settimane si giocano la poltrona.



SUGGERIMENTI

La faccia sulla campagna elettorale Renzi l'ha messa sin dal primo giorno e continuerà a farlo nelle ultime due settimane, ma è convinto che non sarà nè la campagna elettorale nè il risultato a cambiare il percorso del governo. E se neppure una vittoria per sei a uno è in grado di far desistere la sinistra del Pd (si è visto anche dopo il 40% delle Europee), figuriamoci un'eventuale sconfitta.



Ad adeguare il passo alle esigenze elettorali, Renzi non ci sente. Ed è per questo che la riforma della scuola, partita a settembre, è arrivata nelle aule parlamentari a ridosso della consultazione elettorale.



Un timing non cercato, ovviamente, ma neppure evitato. «Faremo tesoro di suggerimenti e critiche, ma ascoltare non è assecondare». Renzi tiene il punto. Lo stesso intorno al quale ha costruito il voto sulla legge elettorale o sulla responsabilità civile dei giudici o sul taglio delle retribuzioni dei dipendenti pubblici sopra i 240 mila euro. «Discutiamo ma poi si decide». Per Renzi si tratta di un «cambiamento epocale» per la paludosa politica italiana da sempre in gattopardesca sintonia con chi evoca ”ben altro”.



Al ”decisionismo” non intende rinunciare che si tratti di riforma della scuola, della giustizia o della grana delle pensioni (che non intende adeguare in toto «perché non voglio levare altre speranze ai giovani»). Alla minoranza del suo partito, pronta a scendere in piazza e ad indire referendum, lascia la responsabilità di un'eventuale sconfitta in Liguria come in Veneto o in Campania.



TAFAZZI

A gufi e tafazzi vale per il premier la considerazione fatta ieri da due ”non-renziani” come Emanuele Macaluso e Francesco Rutelli. «Se vedessi - sostiene l'ex senatore del Pci che di ”ditta” se ne intende - che con il mio voto ci fosse il rischio di aiutare a fare prevalere il candidato della destra mi turerei il naso e voterei Pd». «Cercare di far vincere la destra - sostiene Macaluso - pensando così di favorire in futuro la sinistra più radicale, ricorda antiche e recenti sconfitte dell'intera sinistra».



Argomenti simili usa Francesco Rutelli: «E' inconcepibile una specie di linciaggio da sinistra verso una persona che sta mettendo un'indispensabile energia, e parecchie idee, quale fosse un nemico del popolo». Un rischio, quello denunciato da Macaluso e Rutelli, che in Liguria ha le fattezze di Giovanni Toti dietro il quale si scorge il ”Rieccolo” della seconda Repubblica: Silvio Berlusconi. La prospettiva di una vittoria in Liguria - dove la sinistra del Pd evoca il voto per Pastorino - sta gasando l'ex premier al punto da impensierire il leghista Salvini terrorizzato dall'idea di dover rientrare nell'orbita del Cavaliere.