Lo strappo/ Il gesto politico di chi non vuole essere misurato

di Oscar Giannino
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Martedì 12 Maggio 2015, 22:31 - Ultimo aggiornamento: 13 Maggio, 00:13
Sciopero degli scrutini, un altro sciopero generale, boicottaggio delle prove Invalsi. L’incontro di ieri tra governo e sindacati sulla riforma della scuola si è concluso con le confederazioni più in guerra che mai. E si è concluso così perché il copione era già scritto. Non sono i responsabili sindacali della scuola dei diversi sindacati ad aver siglato un patto di ferro, ma i segretari generali delle diverse confederazioni, e infatti erano loro a incontrare il governo.

Quel patto ha identificato nella scuola il settore in cui piegare Renzi una volta per tutte. Visto che il governo ha rotto la concertazione preventiva col sindacato su tutta la linea, dal Jobs Act alla riforma della Pubblica amministrazione, e il sindacato non è riuscito a spuntarla mai, sulla scuola è diverso, pensa la controparte. Perché la scuola significa un milione di dipendenti, dunque milioni di voti e tradizionalmente orientati più a sinistra che altrove. E dunque, sotto elezioni regionali, o Renzi innesta la marcia indietro su tutta la linea, oppure ne pagherà le conseguenze con la rottura radicale rispetto a una delle constituency elettorali più tradizionalmente rilevanti nel voto a sinistra.



È questa la ragione, eminentemente politica, che spiega perché le pur ormai tantissime e rilevanti modifiche accettate da governo e Pd sul disegno di legge di riforma, per definizione ormai non bastano a soddisfare il sindacato. Non è un caso che la segretaria della Cgil dica in manifestazioni in regioni dove si vota che capisce benissimo chi voterà scheda bianca, o annullerà la scheda. In tutto questo, giocoforza i toni contro la riforma hanno preso a diventare esasperati. Viene dipinta come anticostituzionale, eversiva, non democratica, autoritaria. Sui social gli attivisti sindacali hanno sparso a piene mani slogan da battaglia di civiltà e a catena la contrapposizione è diventata incontrollabile.



L’obiettivo è farla ritirare, la riforma. Strappare subito 150 mila precari assunti e non 106 mila, e il nuovo contratto. Per il resto, il governo si rimetta in tasca la sua idea di dirigente scolastico con nuovi poteri, l’introduzione di criteri di valutazione dei docenti e dei dirigenti scolastici per primi, gli incentivi fiscali ai privati che vogliano investire nella scuola pubblica, che è insieme quella di Stato e quella paritaria.

Sabato, in una trasmissione che ho dedicato alla riforma, ho avuto ospiti una rappresentante dei “genitori democratici” che negava la fondatezza dei test internazionali Pisa, che vedono gli studenti italiani in fondo alle graduatorie internazionali per comprensione ed elaborazione di testi e soluzione di problemi matematici. «Test infondati - ha detto - le scuole italiane sono eccellenti e lo sanno tutti». E un preside contrario alla riforma, per il quale «l’idea che si debba offrire alle famiglie una griglia di risultati comparati dei risultati di ogni istituto è sbagliata e falsa, le famiglie affidano i loro figli allo Stato e per questo l’istruzione offerta deve essere a tutti rigorosamente e costituzionalmente uguale».

Argomenti simili hanno avuto l’immediata traduzione nel boicottaggio in questi giorni dei test Invalsi nelle scuole, con gli studenti che si sono sentiti eroi democratici solidali nella grande battaglia di resistenza all’inaccettabile criterio del merito diseguale, e per questo hanno dato risposte beffarde ai quiz tra la soddisfazione degli insegnanti.



Francamente ci si sente sempre più estranei in patria di fronte a tutto questo. Una scuola in cui così tanti docenti rifiutano l’idea di essere giudicati per merito e risultati, e trasmettono questa stessa idea di fondo ai loro studenti: è il tradimento della prima missione stessa per cui esiste l’istruzione pubblica. Il governo ha accettato che non il dirigente scolastico, ma il collegio dei docenti e il Consiglio d’istituto approvino il piano di offerta formativa, e che nella definizione concreta dei criteri che vengono comunque indicati in legge per valutare gli stessi docenti, anche se restano gli scatti di anzianità e i premi al merito sono solo aggiuntivi, il dirigente scolastico non farà da solo ma sarà coadiuvato da docenti, famiglie e persino studenti.



Ma è l’idea in sé di farsi giudicare che non piace ai sindacati e ai custodi del culto egualitario. Dimenticando che la libertà, come diceva von Humboldt, è innanzitutto libertà di essere e divenire diseguali. E per questo l’istruzione pubblica deve offrire pari opportunità, che sussistono se misurate nel confronto nazionale e internazionale rispetto alla miglior risposta di ciò che la cittadinanza e il mondo del lavoro e dell’impresa chiedono alle future generazioni, basandosi sui migliori risultati e sul premio al merito.



I sindacati hanno voluto ad esempio che l’aspirante insegnante che superi la prima selezione non debba più frequentare un percorso aggiuntivo con prove finali, ma venga al contrario retribuito fin da subito, mentre progressivamente si specializza e assume responsabilità di gestione della classe, fino al definitivo ingresso in ruolo. È una garanzia di miglior preparazione, o serve a limitare il merito? Hanno ottenuto che nel prossimo concorso nazionale bandito nell’ottobre 2015 valgano naturalmente i titoli di anzianità di quanto si è stati supplenti in precedenza. Hanno voluto e ottenuto di rilimitare l’alternanza scuola-lavoro all’ultimo biennio della secondaria superiore, hai visto mai che le aziende mettano piede a scuola prima.



Potremmo continuare, ma fermiamoci. Una riforma della scuola risolta in campo di battaglia tra sinistra politica e sinistra sindacale rischia di nascere zoppa e di risolversi solo in un enorme assunzionificio. Con un pessimo segnale dato alla generazione di ragazzi che oggi beffardamente sabotano i test Invalsi. Inutile dire che tantissimi comunque troveranno “fuori” da questo recinto, la miglior risposta alla propria formazione di eccellenza. E che se la cercheranno scegliendo per passaparola i migliori istituti e le migliori università, visto che tutti sappiamo che non è affatto vero che il mondo del lavoro dia lo stesso valore a un pezzo di carta conseguito dovunque, piuttosto che in alcuni istituti e atenei.



Nel Regno Unito ogni singola famiglia può consultare un sito del ministero dell’Istruzione in cui ogni singolo istituto della scuola primaria e secondaria è inquadrato attraverso i risultati ottenuti e gli esiti delle ispezioni a cui i suoi docenti sono stati sottoposti. È un miraggio credere che anche in Italia sia possibile un giorno avere qualcosa di analogo? Noi continuiamo a pensare di no. E diamo atto a Renzi di aver cercato di procedere in quella direzione, anche se gli esiti al momento sembrano più pregiudicati che prossimi.