Allarme batteri-killer che resistono a tutti gli antibiotici

di Silvio Garattini
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Lunedì 6 Aprile 2015, 23:41 - Ultimo aggiornamento: 8 Aprile, 19:55
La notizia è di grande rilievo e preoccupazione, tale da determinare anche l’intervento del premier britannico. Ben 60.000 morti all’anno potrebbero derivare da infezioni che sono resistenti agli antibiotici. Il premier fa eco ad altre notizie recenti. L’Organizzazione mondiale della sanità ha in questo periodo stimolato l’industria a non dormire sugli allori delle precedenti scoperte e ad impegnarsi per trovare nuovi agenti anti-infettivi. Per curare malattie in cui gli antibiotici oggi esistenti hanno perso di efficacia. L’Organismo che si occupa di monitorare l’epidemiologia delle malattie negli Stati Uniti stima che oggi vi sono ben 23.000 morti ogni anno per la antibiotico-resistenza. Questi interventi sembrano incredibili se si pensa alla straordinaria rivoluzione indotta dalla scoperta della penicillina da parte di Fleming. Eravamo nel 1928 quando il ricercatore inglese fece le sue prime osservazioni, ma ci vollero oltre 10 anni per arrivare alle prime utilizzazioni della penicillina grazie anche al determinante aiuto di Florey e Chain stimolati dalla necessità di avere a disposizione efficaci antibatterici per curare le infezioni nei feriti della seconda guerra mondiale. Alla penicillina seguirono altri antibiotici sfruttando lo stesso principio dell’antagonismo fra micro-organismi. Waksman scoprì la streptomicina, il primo antibiotico contro la tubercolosi e poi vennero disponibili le tetracicline, le cefalosporine, i macrolidi.



Poi si cominciarono ad avere i primi casi di resistenza che non destarono grande preoccupazione considerando che la abbondanza degli antibiotici disponibili poteva sopperire alla resistenza nei confronti di un singolo antibiotico. Ma ciò risolse solo temporaneamente il problema perché le resistenze si estesero a due e più antibiotici soprattutto negli ospedali e nelle comunità degli anziani. Si scoprirono altri antibiotici come la meticillina e la vamcomicina che avevano la caratteristica di riuscire ad aver ragione dei batteri poliresistenti, ma cominciano ora ad apparire batteri che sono resistenti anche a questi due antibiotici.

I ricercatori non sono rimasti inattivi di fronte a questi problemi ed hanno da tempo iniziato a studiare i meccanismi che vengono elaborati dai batteri per rimanere immuni dall’azione letale degli antibiotici. Così hanno scoperto molte modalità con cui i batteri si difendono. Ad esempio modificano la loro superficie cambiando la struttura della proteina a cui si deve agganciare l'antibiotico per poter esercitare i suoi effetti tossici oppure sono in grado di elaborare proteine capaci di metabolizzare l'antibiotico rendendolo inattivo. Questa capacità dei batteri viene facilitata da una serie di fattori che riguardano le modalità con cui si utilizzano gli antibiotici.



Uno dei fattori più importanti è certamente l’uso inappropriato degli antibiotici. Basta molte volte qualche linea di febbre per far scattare l'impiego dell’antibiotico senza sapere la ragione della febbre. Spesso si tratta di infezioni da batteri che non sono sensibili a quel determinato antibiotico oppure l’infezione è determinata da un virus. Tipico è il caso dell’influenza in cui pur trattandosi di un virus parte un impiego preventivo di un antibiotico anzicché attendere che in qualche giorno l’influenza passi da sola. Spesso gli antibiotici vengono utilizzati a dosi troppo basse o per periodi di tempo troppo limitati cosicché i batteri si trovano di fronte a concentrazioni che non sono battericide e ciò permette al batterio di mettere in atto i meccanismi sopra ricordati. Un altro fattore negativo è la massiva somministrazione di antibiotici negli animali d’allevamento per evitare infezioni che, data la vicinanza degli animali, si propagherebbero a tutto l’allevamento. In questo modo attraverso le escrezioni dei liquidi organici gli antibiotici vanno nel terreno giungendo in contatto con tutti i batteri presenti determinando resistenza.



Infine piccole concentrazioni di antibiotici rimangono nelle carni che noi mangiamo e anche le infinitesime concentrazioni presenti nell’intestino e circolanti nel sangue possono concorrere a creare resistenza nei batteri che popolano i nostri tessuti.

Per tutte queste ragioni l’allarme per la antibiotico-resistenza è perfettamente giustificato anche se un po’ tardivo, ma si può e si deve intervenire senza perdere altro tempo. La ricerca pubblica, così trascurata e umiliata in Italia, deve sostenere gli studi di chi cerca di capire i meccanismi della resistenza.



È solo scoprendo come i germi cambino il loro metabolismo che si potranno scoprire antibiotici con nuovi meccanismi d’azione. Occorre incentivare le industrie a reinvestire in nuovi antibatterici facilitando la ricerca clinica. Nello stesso tempo è importante migliorare l’appropriatezza nell’uso degli antibiotici educando i medici e la popolazione ad un impiego più responsabile. Evitiamo che dopo oltre 70 anni dalla scoperta della penicillina l’umanità ritorni alle pestilenze che hanno caratterizzato ere di triste memoria.