Vitalizi parlamentari e regionali, è il momento di abolirli

di Angelo Ciancarella
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Mercoledì 22 Ottobre 2014, 00:13
«Le pensioni non si toccano», assicurava il premier Matteo Renzi qualche tempo fa, nonostante l’insistenza del Fondo monetario internazionale. E aveva perfino attribuito a questa sua posizione l’annunciato divorzio dal commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, al quale invece non sarebbe dispiaciuto ricalcolare le pensioni superiori a una certa soglia e liquidate con il metodo retributivo. E invece, tra le pieghe della legge di stabilità 2015, spunta lo slittamento di 10 giorni del pagamento di tutte le pensioni. Ricche e povere. Poca cosa, si dirà: è una semplice manovra di cassa. Non è così: il primo slittamento corrisponde al prelievo di un terzo della pensione mensile. Una sorta di una tantum mascherata, che sarà restituita solo agli eredi: è il caso di dirlo, a babbo morto. Mascherata, e perciò maltollerata.

Non è che di spesa pensionistica sia vietato parlare: rappresenta il 32% della spesa pubblica, e anzi il 40% se si sommano tutte le prestazioni sociali, alcune delle quali distribuite a pioggia e indipendentemente dal reddito, in modo del tutto irrazionale. Basti pensare all’indennità di accompagnamento per l’invalidità civile, in gran parte sopravvenuta a causa dell’età, tanto è vero che l’80% dei 2,6 milioni di beneficiari percepisce almeno un’altra pensione. L’indennità di accompagnamento, preziosa e insufficiente per tanti; del tutto superflua per altrettanti, costa ben 15,5 miliardi di euro l’anno. E si potrebbe continuare. Ma ora è doveroso un altolà. Non si può agire con tagli lineari (sia pure una tantum) in una materia delicatissima, che riguarda il tenore di vita di milioni di italiani. Soprattutto, non si può intervenire prima di dimostrare davvero di aver “cambiato verso”, abolendo alcuni privilegi che sul piano finanziario producono effetti modesti, ma sono urgenti e doverosi per ragioni di equità, tollerabilità sociale e soprattutto credibilità.

Valga per tutti lo scandalo dei vitalizi parlamentari e regionali, che rispuntano non appena si provi ad abolirli (per il futuro) e a ridurli (per il passato). Ancora oggi costano 400 milioni l’anno: 136 per gli ex deputati, 81 per gli ex senatori, circa 180 per gli ex consiglieri regionali. Alla fine di questa legislatura, al più tardi nel 2018, almeno altri 600 baby pensionati parlamentari, tra ex senatori e giovani deputati non rieletti, resteranno per molti decenni a carico della collettività.

La soluzione è semplice, e il governo - se davvero la vuole - ce l’ha a portata di mano nella riforma costituzionale sul Senato. L’articolo 69 afferma che «I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge». Il ddl Boschi (sul punto non modificato dal Senato) si limita a sostituire Parlamento con Camera dei deputati. Bisogna riscriverlo, subito. Per esempio così: «I membri della Camera dei deputati ricevono una retribuzione stabilita dalla legge, equiparata ai redditi da lavoro dipendente. La Camera versa i contributi all’ente di previdenza al quale il deputato è iscritto. Nessun trattamento previdenziale può essere erogato agli ex deputati prima dell’età pensionabile. Nessuna contribuzione figurativa può essere calcolata a nome del deputato, che al termine del mandato riscuote il Tfr o dispone che sia accantonato. Nessun altro importo o indennità, comunque denominata, può essere riscossa o accantonata a beneficio degli ex parlamentari».

Per evitare furbizie nelle Regioni, negli Organi costituzionali e in tutte le pubbliche amministrazioni, occorre un’altra norma, anche fuori dalla Costituzione purché dentro la legge costituzionale, per dire che il nuovo articolo 69 si applica ovunque e in ogni caso, compresi i distacchi e le assegnazione tra uffici pubblici. La Costituzione del 1948 parlava chiaro. Poi sono arrivati i bizantinismi degli azzeccagarbugli, ovviamente a proprio favore e con le briciole per tutti. Ma anche a spese di tutti, soprattutto le nuove generazioni. Diamo il buon esempio guardando, per una volta, indietro.