Spending possibile, c’è ancora molto da tagliare,
basta volerlo

di Oscar Giannino
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Mercoledì 22 Ottobre 2014, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 00:13
Il testo della Legge di stabilità, ancora privo della bollinatura della Ragioneria generale dello Stato, è stato consegnato ieri al Quirinale. Che ne farà «un attento esame», hanno subito precisato le fonti del Colle. Ebbene, abbiamo una modestissima preghiera da rivolgere proprio al capo dello Stato. Rispettosi come siamo delle sue funzioni, ma anche consapevoli della differenza che spesso ha esercitato l’azione di moral suasion esercitata dal Colle in fasi molto difficili della vita nazionale in questi anni, pensiamo sia non solo giusto ma molto opportuno che Giorgio Napolitano esamini con grande attenzione gli articoli della Finanziaria.

Il punto non è quello di evitare o meno la richiesta dell’Unione Europea di utilizzare i 3,4 miliardi messi a riserva dal governo per migliorare il contenimento del deficit 2015, o magari di fronteggiare la possibile indicazione di raddoppiare la posta. Il punto è un altro. Il governo può ora usare l’incontestabile energia che gli trasmette il premier per compiere uno sforzo aggiuntivo necessario, del quale ci sono tutte le condizioni.

E questo sforzo non contraddice affatto il fine dichiarato di rafforzare gli interventi per la crescita, ma al contrario potrebbe potentemente accentuarlo. Di che sforzo parliamo? Mettere mano, ora, con grande decisione, a una lunga serie di voci di spesa pubblica ormai individuati, che pesano per molti miliardi di euro.

Se il governo dovesse decidere di non devolverli all’attenuazione degli 11 miliardi di copertura di spesa in ulteriore deficit nel 2015, come ha scelto di fare nella Legge di stabilità, essi potrebbero costituire un enorme rafforzamento delle coperture a ulteriori e ancor più decisivi tagli delle imposte.

Ieri sera l’ormai ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli ha dichiarato che i 6 miliardi di minor pesa chiesti a Regioni, Province e Comuni possono benissimo essere praticati senza tradursi in contestuali nuovi aumenti delle tasse locali. Non solo ha perfettamente ragione, ma la differenza rispetto a tre e due anni fa è che ora abbiamo tutti i documenti in mano per decidere tagli di gran lunga superiori, senza gli effetti recessivi che sarebbero scatenati da perdita di posti di lavoro o da tagli ai servizi ai cittadini, ma anzi accrescendo al contempo efficienza e produttività della macchina pubblica.

Gli esempi sono infiniti. Spendiamo ogni anno in vitalizi a ex parlamentari e consiglieri regionali 12 volte la somma con cui l’India è andata su Marte col suo programma spaziale: davvero non è il momento ora di darci un taglio? Tra le 10 mila partecipate locali di primo livello, le multiutilities nei 4 settori tradizionali dell’energia, gas, acqua e rifiuti sono più di 2 mila, ma di queste ben 650 non arrivano a 4 milioni di euro di fatturato annuo, dunque al di sotto di ogni possibilità di essere sia efficienti nell’offrire servizi sia non in perdita. È ora il momento di decretarne la fine, con cessioni e fusioni.

Il sussidio pubblico in termini di euro per passeggeri-chilometro nel trasporto locale è tra due e tre volte superiore a quello di grandi Paesi europei, e il recupero dei costi attraverso biglietti è del 45% inferiore: è ora il momento per stabilire una grande ondata di fusioni e cessioni, visto che lo Stato ci rimette 7 miliardi di euro l’anno. Nella spesa pubblica per acquisizioni e forniture, 50 miliardi di euro tra quelli spesi dalle Autonomie e in sanità vengono ancora operati al di fuori di procedure centralizzate e digitali, alimentando sovracosti stimati prudenzialmente dalla Consip tra il 12 e il 15%, e vaste nicchie di corruzione e collusione tra illegalità pubbliche e private.

Perché fermarsi alla media di rimborso alle regioni tra i tre prezzi delle forniture sanitarie migliori, medie e mediane – il bislacco sistema attuale – se si può procedere per centrali uniche di acquisto sovraregionali? E anche nel merito della sanità stessa, che pure è certificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come la terza al mondo per qualità comparata, proprio ieri il rapporto annuale dell’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari, ha certificato come nella media solo una struttura ospedaliera su 8 in Italia, per interventi come quelli sul tumore al seno, colon e polmone, compia il numero minimo di operazioni annuali per garantire un buono standard di sicurezza e sopravvivenza.

È ora il momento per riordinare e riaccorpare troppe centinaia – centinaia! – di ospedali e reparti come le Regioni sin qui non sono riuscite a fare, malgrado 8 di esse siano in rientro coatto dei conti sanitari e 5 commissariate. Questi soli interventi valgono più di una dozzina di miliardi di risparmi, dicono gli studi e le proposte di Cottarelli. È ora il momento di tradurli in misure concrete. Per evitare la stangata sul risparmio previdenziale, per evitare il reinnalzamento dell’aliquota Irap e per di più retroattivo, per cancellare definitivamente sin d’ora la clausola di salvaguardia che resta scritta in finanziaria con l’aumento automatico delle imposte nei prossimi tre anni. Il nostro sogno, signor Capo dello Stato, è quello di una politica che capisca ora che troppe spese restano causa di minor reddito in tasca a cittadini e imprese, meno investimenti e meno occupazione. Non per fare un favore all’Europa. Ma per farlo a noi tutti, e al futuro di questo Paese che merita torni a splendere qualche raggio di sole.