«E' stato un capolavoro, ora è chiaro che si va avanti fino al 2018». Matteo Renzi lo dice chiaro e tondo. Mancano ancora due letture alla legge che abolisce il Senato, ma è come se ci fossero già state. Il peggio è ormai acqua passata, il Vietnam annunciato e più volte minacciato dai dissidenti interni ed esterni non c'è stato, insomma il ddl Boschi potrebbe essere legge dello Stato in primavera. Logica quindi la grande soddisfazione della ministra in primis: «Un bellissimo giorno per l'Italia«. La vittoria politica è di Renzi, e nessuno lo nega.
IL SASSOLONE
Lui, il premier, con i suoi ha fatto il punto alla sua maniera, menando dove bisognava, e indicando le future tappe. «Questa volta i gufi sono stati sistemati», si è tolto subito il sassolone dalle scarpe, dopo mesi di ostilità, voti contrari, cambi di opinione in corso d'opera, con il contorno di minacce da vietcong. I numeri riportati nella votazione dimostrano che l'apporto dei verdiniani non è stato decisivo, «meglio di così non poteva andare», il commento renziano, che non butta a mare l'alleato sulle riforme, ma neanche lo esibisce come un totem, «l'avevo detto che i numeri c'erano». L'ultimo messaggio di Renzi è alle prossime mosse: «Ora, dopo le altre letture, avanti spediti sul referendum».
Importante è quell'aggettivo, «spediti», che potrebbe diventare l'oggetto se non proprio di una battaglia politica, comunque di un possibile braccio di ferro con l'opposizione o con settori di questa.
I NODI PROCEDURALI
Una conferma diretta viene da Raffaele Fiano, responsabile istituzioni del Pd, che a domanda risponde senza girarci attorno: «Sì, è un obiettivo praticabile, non ci sono divieti né tecnici né istituzionali, i due appuntamenti si possono svolgere anche nello stesso giorno. I problemi semmai sono politici». Una cosa simile vista dai centristi la dice Ferdinando Adornato: «E' chiaro che al referendum si decideranno le alleanze future per le politiche, chi farà la battaglia dalla stessa parte poi conseguentemente la proseguirà al momento di decidere come scendere in campo per il Parlamento».
I TEMPI
I tempi di approvazione adesso sono in discesa. Quelli tecnici, i tre mesi occorrenti essendo una legge costituzionale, ovviamente restano e nessuno li può accorciare; ma le modifiche da ratificare sono poche, quattro-cinque, su di queste si è raggiunto un accordo sia pure faticoso, ma sempre accordo, non sarà una passeggiata ma qualcosa che ci somiglia. L'obiettivo è di chiudere la partita approvazione definitiva entro marzo, con il che, giurano costituzionalisti favorevoli all'accorpamento, l'accoppiata amministrative-referendum è lì pronta per essere attuata, al netto ovviamente di eventuali opposizioni, strenue o meno che siano. I numeri comunque non dovrebbero più mancare. C'è FI divisa; ci sono gli apporti di chi le riforme votò fin dall'inizio. E c'è la pax interna al Pd, almeno sulle riforme (sul Def si annuncia un'altra musica), che è stata resa possibile dall'atteggiamento di Giorgio Napolitano, favorevole fin dal primo momento, e da quello di Anna Finocchiaro.