Può mancare, nel calderone, la sinistra anti-renziana del Pd? Certo che no. Peccato che ieri, nella versione bonsai di questa protesta che ha riempito (si fa per dire) la piazza romana, Stefano Fassina - di nuovo, come già nel corteo del 5 maggio - sia stato sbertucciato da una precaria: «E tu che ci fai qui? Hai svenduto la sinistra!». E i grillini? C'è il più bello di loro. E dice Di Battista, detto il Dibba, vendendo i parlamentari democrat (Epifani, Cuperlo, l'ex Civati e via così) in piazza accanto a lui: «Sono la foglia di fico del sistema Renzi».
LA SINTESI
Ed è un riassunto, ormai da settimane, di tutte le rivendicazioni pansindacali ma anche delle aspirazioni anti-governative (riassumibili in una: abbattere il puzzone Matteo) questa protesta sulla scuola. Punteggiata, ieri, da un grido così: «Malpezzi vattene!» (la destinataria è una deputata renziana del Pd, venuta a spiegare le ragioni della riforma). E un'altra come lei, Anna Ascani, è qui allo stesso scopo ma anche per dare un'occhiata: «Vedo più politici che insegnanti in questa piazza». E' come se questa larga alleanza No-Rif fosse il concentrato, al netto delle finalità immediatamente politiche, di tutte le battaglie anti-moderne che si possono (ma anche no) ingaggiare. E' più moderno l'egualitarismo o l'uguaglianza? La seconda che hai detto.
E allora, in nome della difesa dell'egualitarismo paleoliticamente inteso, il fronte No-Rif se la prende con i criteri meritocratici, e relativi riconoscimenti economici, che il progetto di riforma della scuola timidamente contiene. Secondo uno schema che parte da un assunto di uguaglianza: ogni insegnante verrà valutato dal preside ma non soltanto da lui, anche da altri due docenti e da genitori e studenti. Arbitrio o giustizia? I sindacati obiettano che la valutazione tarpa le ali alla libertà d'insegnamento e rischia di renderli più condizionati nel proprio lavoro in classe. La verità è che il merito - su cui da tempo la sinistra più innovatrice ha fatto cadere il veto ma la sinistra conservatrice, finora maggioritaria, lo tiene ben saldo - viene ancora vissuto nel calderone scolastico e para-scolastico come una parolaccia. C'è un altro fattore di modernità da bruciare in piazza. E' l'autonomia decisionale (che non è decisionismo) del preside. A cui il fronte No-Rif oppone il vecchio mito della burocratizzazione: ci si sente più tutelati dalle circolari ministeriali che governano, da lontano, un istituto, piuttosto che dal concentramento in loco - e non solo nella stanza del preside - delle scelte da prendere sulla gestione e sul profilo da dare alla propria scuola.
Meglio i super-provveditori da romanzo di Gogol sulla burocrazia che controlla tutto (e l'antico modello russo è sopravvissuto all'Ottocento) o quelli che, all'inizio di questo tormentone della riforma, Renzi chiamava i presidi-sindaci (e il sindaco, naturalmente, non è un caudillo)? Il fronte No-Rif difende poi il centralismo ai danni della territorialità. Ma vaglielo a spiegare ai leghisti, compagni di lotta dei vetero-comunisti, in questa battaglia plurale e trasversale combattuta con la testa all'indietro.