Scioperi, più coraggio con i sindacati, il governo
si muova

di Giovanni Sabbatucci
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Venerdì 24 Luglio 2015, 23:49 - Ultimo aggiornamento: 25 Luglio, 00:11
Uno dei principi basilari dell’ordinamento liberale e della stessa convivenza civile è quello che pone come limite invalicabile all’esercizio dei propri diritti (si tratti di singoli o di categorie organizzate) il rispetto dei diritti altrui. In questo torrido inizio di estate italiana, il principio è stato violato spesso e sistematicamente da una prassi sindacale poco rispettosa di quel limite, insofferente a qualsiasi codice di autoregolamentazione e pregiudizialmente ostile a ogni intervento legislativo in materia di astensione dal lavoro: il tutto senza che da parte dei cultori della “costituzione più bella del mondo” si siano levate proteste per la mancata attuazione dell’articolo 39 della carta fondamentale, quello che vuole il diritto di sciopero esercitarsi “nell’ambito delle leggi che lo regolano”.

Ieri uno sciopero del sindacato dei piloti e degli assistenti di volo (non stiamo parlando di minatori o di braccianti) ha rischiato di paralizzare il traffico aereo in una giornata chiave per gli spostamenti, penalizzando non solo i vacanzieri (che comunque meritano rispetto), ma anche la compagnia di bandiera impegnata in una difficile operazione di rilancio. Per non dire del danno inflitto all’immagine dell’Italia come meta turistica, dopo la lunga semi-paralisi (ma questa volta i sindacati non c’entravano) dello scalo di Fiumicino. Sempre ieri, per la quarta o quinta volta in pochi mesi, gli aspiranti visitatori degli scavi di Pompei, una delle mete più battute dai flussi turistici, sono stati costretti ad aspettare per ore al sole.

A causa di un’assemblea sindacale convocata dal personale senza alcun preavviso.

Tornando alla capitale, da settimane ormai una sorta di sciopero bianco degli addetti alla metropolitana sta provocando ritardi, file, proteste, disagi di ogni sorta in una rete già insufficiente e sovraccarica in condizioni normali (normali si fa per dire, visto che gli scioperi sono diventati ormai un’abitudine, per lo più di venerdì), ma pur sempre unica via per assicurare a centinaia di migliaia di romani spostamenti in tempi prevedibili.



Facile notare che le agitazioni di cui abbiamo appena parlato, come tutte quelle che riguardano il settore pubblico e i servizi, hanno colpito gli utenti, in gran parte lavoratori, prima che i datori di lavoro; e hanno fatto sentire i loro effetti soprattutto nel Centro-sud, ovvero nelle aree più deboli di un paese che già fatica a ritrovare la strada della crescita. Roma, capitale, città-simbolo nel bene e nel male, oggetto di stupore e di ironia da parte degli osservatori e dei visitatori stranieri come ai tempi del papa-re e del grand Tour, diventa l’epitome di un degrado irredimibile, l’immagine di un organismo che rischia di collassare per le strozzature del suo sistema circolatorio.



Ma è evidente che il problema riguarda l’Italia nel suo insieme. E dunque rinvia anche alle responsabilità del governo, oltre che a quella delle amministrazioni locali. Nel programma di Renzi, che ogni giorno si allarga a includere nuovi e ambiziosi traguardi (compresa l’imprescindibile riforma della burocrazia), non starebbe male una specifica attenzione al tema delle vertenze di lavoro nel settore pubblico.



Occorre in primo luogo evitare che i rinnovi dei contratti si trascinino per anni, lasciando aperte controversie che costano, in termini di disagi per gli utenti, più di quanto facciano risparmiare alla finanza pubblica. Ma serve anche ristabilire una ragionevole proporzione fra la rappresentatività di una sigla sindacale e la sua capacità di paralizzare un servizio, fra il motivo scatenante di una vertenza e le ricadute che essa può avere sulla generalità dei cittadini.



È un’operazione difficile dal punto di vista teorico (chi stabilisce qual è la proporzione ragionevole?) e rischiosa sotto il profilo politico, viste le prevedibili resistenze sindacali. Ma anche da questa strettoia il presidente del Consiglio dovrà passare se vorrà tener fede alla sua immagine di politico “nuovo”, capace di privilegiare, non solo con gli annunci, le esigenze del cittadino comune (l’utente dei servizi, il contribuente, l’elettore d’opinione) rispetto a quelle dei gruppi di pressione e degli interessi organizzati.