Stretto nella morsa di orde di invasori provenienti dal Mediterraneo e di oppressori teutonici calati dalle Alpi per depredarci delle nostre ultime ricchezze, condannato a barricarsi per salvare il salvabile. Sarà difficile che l’operazione riesca. La retorica padana è troppo visceralmente iscritta nel dna della Lega per permettergli di presentarsi in modo credibile nel centro-sud, sia pure attraverso la mediazione di Fratelli d’Italia. Il problema, però, rimane. La Lega a Roma è il sintomo di un disagio che negli ultimi vent’anni non ha fatto che crescere.
Se, un tempo, la tentazione del ripiegamento su se stessi, dell’anti-europeismo e della xenofobia era limitata ad una fascia dell'elettorato, oggi appare diffusa in tutti gli strati sociali e in tutte le aree geografiche del Paese. Nonostante gli sforzi contrari, la narrazione dell’incubo italiano è ormai dominante e costringe perfino chi è portatore di una visione diversa ad adottarne le categorie, come dimostra il caso allucinante dell’inerzia di fronte alla strage quotidiana degli sbarchi clandestini.
Trovare il tono giusto per contrastare questa impostazione è tutt’altro che facile.
Quel che è certo è che l’indignazione serve a poco. E ancor meno serve la violenza. Il modo migliore di garantire il successo della passeggiata romana di Salvini sarebbe se oggi il corteo antagonista programmato in contemporanea provocasse l’ennesima guerriglia urbana per le strade della capitale.