Salva Roma, Renzi rifiuta di blindare il decreto: non gioco così la mia prima fiducia

Matteo Renzi
di Alberto Gentili
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Giovedì 27 Febbraio 2014, 08:02 - Ultimo aggiornamento: 19:28
Non stato solo l’ostruzionismo dei Cinquestelle e della Lega a spingere Matteo Renzi a rottamare il decreto Salva-Roma. In realtà il premier, in base a quanto filtra dai suoi più stretti collaboratori, non ha voluto spendere la sua prima fiducia su un provvedimento «discutibile e dal percorso travagliato», figlio per di più di un altro governo. Quello di Enrico Letta. Insomma, non ha voluto metterci la faccia: «Porre la mia prima fiducia su un decreto così pasticciato», ha spiegato mercoledì sera il premier, «non sarebbe il modo per partire con il piede giusto». E così bye bye Salva-Roma.



IL RISCHIO DEL FLOP

Ma non sono stati soltanto il merito e la paternità delle norme per la Capitale, mischiate all’alluvione di Olbia, l’Expo di Milano e quant’altro, a spingere il premier ad abbandonare il decreto. «Anche ponendo la fiducia», rivela una fonte autorevole di palazzo Chigi incaricata di seguire il dossier, «non era affatto detto che saremmo riusciti ad approvarlo entro venerdì (domani, ndr). Il filibustering dei grillini e dei leghisti avrebbe probabilmente vanificato lo sforzo. Con il risultato di fare il bis del dicembre scorso, quando Letta pose la fiducia per poi ritirare il provvedimento il giorno dopo. Epilogo imbarazzante che Renzi non ha assolutamente voluto ripetere».



C’è da dire che il premier non è mai stato tenero con il decreto che dovrebbe salvare la pelle al sindaco Ignazio Marino e alla Capitale. Quando, sempre in dicembre, nel testo venne infilata la norma sulle slot machine, Renzi parlò di «decreto porcata». E il giorno dopo l’infortunio di Letta e il ritiro del provvedimento, affermò tagliente: «Un brutto incidente che poteva essere evitato con un po’ di buonsenso».



C’è da aggiungere che su questa partita pesa la difficoltà di rapporti tra il premier e Marino. Molti ricorderanno che quando vennero celebrate le primarie a Roma, la scelta di Renzi cadde sul competitor dell’attuale sindaco: Paolo Gentiloni. E che quando nell’agosto scorso sbarcò nella Capitale per inaugurare insieme a Marino la pedonalizzazione dei Fori Imperiali, il premier si guardò bene dal partecipare alla passerella in bicicletta con il sindaco a uso e consumo di cameramen e fotografi.

Renzi, infatti, con il tempo si è fatto un’idea non proprio positiva di Marino. Per dirla con uno dei suoi collaboratori, «non è certo il sindaco che stima di più». Tant’è, che quando ieri pomeriggio è arrivato a palazzo Chigi un Marino disperato e furente, a riceverlo è stato Giovanni Legnini, competente ed esperto, ma pur sempre un ex sottosegretario in attesa di riconferma. E non il braccio destro di Renzi, Graziano Delrio.



Ciò detto, il premier non ha alcuna intenzione di lasciare la Capitale al suo destino. «E farà l’indispensabile per evitare il default, non fosse altro perché verrebbe compromessa anche l’immagine-Paese», dice un altro collaboratore. Così è probabile che domani il governo - dopo il via libera del Quirinale, che vigila con la massima attenzione - vari un nuovo decreto, però con un cuore diverso: la Tasi e la proroga al 30 giugno del termine di approvazione del bilancio romano, con altri interventi sugli Enti locali. Più un disegno di legge che assorbirà le norme meno urgenti del Salva-Roma. «Speriamo che al Colle il doppio binari vada bene», incrociano le dita a Palazzo Chigi.



L’imperativo di Renzi è quello di «alzare la qualità normativa». Niente decreti-carrozzone, niente «provvedimenti-melma». E per quanto possibile «evitare la decretazione d’urgenza»: «Voglio una legislazione trasparente, ordinata ed efficace», ha detto il premier. E proprio per raggiungere questo obiettivo ha messo tra i primi punti del suo programma l’accelerazione della riforma dei regolamenti parlamentari della Camera. «L’obiettivo non è comprimere i diritti delle opposizioni», spiega il renziano Angelo Rughetti, «ma ottenere un percorso legislativo simile a quello degli altri Paesi europei dove, ad esempio, è prassi che le Commissioni parlamentari valutino le leggi in sede deliberante, lasciando all’Aula solo il voto finale. Con una produzione legislativa rapida, inoltre, per il governo sarà meno necessario ricorrere ai decreti».
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