Riforme, martedì voto finale al Senato. Renzi: dicevano che non avevamo i numeri

Riforme, martedì voto finale al Senato. Renzi: dicevano che non avevamo i numeri
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Venerdì 9 Ottobre 2015, 14:20 - Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre, 09:36
Il Senato conclude i voti degli emendamenti al ddl Boschi e la maggioranza «tiene» senza patemi sui numeri, come il premier Matteo Renzi sottolinea a fine giornata, anche se in tre voti segreti Ncd ha voluto mandare un «segnale» in vista delle legge elettorale.



«Dicevano "Le riforme si fermeranno, il Governo non ha i numeri". Visto come è andata? Questa è #lavoltabuona #italiariparte», esulta su Twitter il presidente del Consiglio Matteo Renzi.



Il voto finale sul ddl martedì prossimo si annuncia quindi come una nuova occasione per certificare la ritrovata unità dentro il Pd, mentre è l'opposizione di centrodestra a uscire divisa da questo passaggio parlamentare, con una nuova polemica oggi contro Forza Italia da parte di Lega e dei Conservatori di Fitto, senza contare le spaccature interne al partito di Berlusconi.



L'Aula di Palazzo Madama aveva approvato l'ultimo articolo del ddl Boschi, il 41, con 165 sì, 58 no e 2 astenuti. Significativa l'approvazione di un emendamento del governo all'articolo 39, con le norme transitorie, che fissa in sei mesi il termine entro il quale il Parlamento dovrà varare la legge quadro per l'elezione del nuovo Senato, e in 90 giorni quello entro cui le Regioni dovranno poi recepire tali norme per consentire l'elezione dei Consiglieri-senatori.



L'emendamento ha accolto l'ultima richiesta della minoranza Dem, e la ritrovata pace interna è stata testimoniata dal fatto che le dichiarazioni di voto a nome di tutto il gruppo, sull'emendamento e sull'articolo 39, siano state svolte da due senatori della minoranza interna, Doris Lo Moro e Vannino Chiti. E il ministro Maria Elena Boschi ha assicurato che la legge quadro sarà «tempestivamente» messa in cantiere «da governo e maggioranza».



Se dunque in tutti questi giorni di voti non ci sono stati incidenti di percorso, come invece era accaduto in prima lettura l'anno scorso, oggi su tre votazioni a scrutinio segreto si sono registrati una ventina di senatori della maggioranza che hanno votato contro le indicazioni del governo, pur senza creare veri problemi. I «no» agli emendamenti delle opposizioni in queste tre circostanze sono scesi dai 160-165 usuali ai 143-145. Un lapsus in Aula di Andrea Augello ha lasciato intendere che una parte di questi voti contrari al governo siano arrivati da Ncd: insomma un «segnale» per chiedere modifiche all'Italicum, senza però voler «far danni».



Quanto alle opposizioni di centrodestra i nervi sono tesi. Il capogruppo di Fi, Paolo Romani, a cui il governo ha mostrato prima di entrare in Aula un proprio emendamento, è stato accusato di «inciucio» da Roberto Calderoli e da Cinzia Bonfrisco, capogruppo dei conservatori. «Ora basta», è scattato Romani, che martedì dovrà gestire un gruppo spaccato tra gli ultras, che propongono l'Aventino, una parte che propone di votare «no» alle riforme ma di restare in Aula, e alcuni senatori propensi addirittura per il sì.



Il voto finale di martedì sarà preceduto da un appuntamento foriero di polemiche. Elena Fattori di M5s ha insultato in aula i senatori del Pd («venduti per un piatto di lenticchie», «Verdini è il burattinaio di queste riforme uscite dalla valigia di Licio Gelli»). Il capogruppo Dem Luigi Zanda ha chiesto che il Consiglio di presidenza del Senato riveda il video e sanzioni Fattori esattamente come ha punito Barani e D'anna per i loro gestacci. E il Consiglio è stato convocato da Grasso lunedì pomeriggio.



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