Riforme, la corsa di Renzi con la sponda di Napolitano

Riforme, la corsa di Renzi con la sponda di Napolitano
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Lunedì 27 Ottobre 2014, 06:14 - Ultimo aggiornamento: 08:17
dal nostro inviato Marco Conti - FIRENZE - «Quando si sentono tante menzogne nei confronti del nostro Presidente della Repubblica, credo sia doveroso che l'Italia per bene faccia sentire tutto l'affetto». Alla vigilia della deposizione di Giorgio Napolitano nel processo sulla presunta trattativa stato-mafia, l'ovazione per Giorgio Napolitano che Matteo Renzi scatena alla Leopolda va oltre il tentativo di recuperare la dimenticanza di un anno fa, alla prima assemblea del Pd da segretario. Non un gesto riparatorio, quanto la conferma di un asse con il quale fa i conti la minoranza interna del Pd composta da molti autorevoli leader, da Bersani a D'Alema passando per la Bindi o Cofferati, con la quale il presidente della Repubblica ha una consuetudine decennale. Ciò che però nelle ultime settimane ha dato un notevole vantaggio in termini di credibilità al presidente del Consiglio è il rapporto con l'Unione Europea e la sua Commissione. Laddove né il governo di Mario Monti né quello di Enrico Letta erano riusciti, Renzi ha sfondato ottenendo un po' di flessibilità, grazie anche - ovviamente - al 40,8% conquistato alle Europee e alla sponda del Colle. Senza dover per forza ricordare che basterebbe una sua decisione per trasformare la percentuale delle Europee in risultato scaturito da elezioni politiche, Napolitano ha sinora aiutato Renzi a smussare le resistenze, a superare gli ostacoli. Sia quelli interni al Pd, sia quelle provenienti dagli alleati, sia quelli posti da Forza Italia.



I RAPPORTI



L'arma del voto anticipato è nelle mani del Capo dello Stato e Renzi si guarda bene dall'evocare direttamente la fine anticipata della legislatura. Anzi, non perde occasione per ricordare che il traguardo del governo è il 2018, anche se poi aggiunge che «noi non siamo al governo per scaldare la sedia». Le emergenze indicate da Renzi compongono per buona parte l'agenda che il presidente della Repubblica indicò, ponendola come «condizione», al momento dell'accettazione del secondo settennato. Più volte Napolitano è tornato su questi argomenti, ed è prevedibile che interverrà di nuovo a breve proprio su uno dei cardini sui quali le forze politiche si erano impegnati: le riforme istituzionali e la legge elettorale. Il fatto che Renzi abbia avuto sin dal primo momento Napolitano dalla sua nella battaglia contro l'austerity europea, come nella necessità di riformare il Paese anche nelle sue istituzioni, sottrae alla sinistra del Pd una sponda alla quale rivolgersi per i troppi voti di fiducia, come per le nomine decise in Europa e non solo.



La costanza dei rapporti fra i due è ormai evidente. Così come anche una sorta di “travaso” degli argomenti usati contro l'Ue delle burocrazie e degli zero virgola. Da un lato il capitale politico di consensi raccolto da Renzi, che non sembra diminuire malgrado l'azione di governo. Dall'altro l'esperienza e l'autorevolezza del capo dello Stato per essere stato per lungo tempo l'unico punto di riferimento in un'Italia sull'orlo della bancarotta. L'energia dell'uno con la solida reputazione internazionale dell'altro hanno permesso il via libera alla legge di stabilità. E così sarà ancora sul Jobs act e su tutte le riforme. Sino al varo di quella decisiva dopo la quale la missione del secondo settennato può dirsi conclusa: la riforma istituzionale ed elettorale. Lasciare senza aver concluso la transizione sarebbe una sconfitta per tutti, ma a quel punto Renzi, con la sponda del Quirinale, avrebbe gioco facile nel mettere all'indice i responsabili per poi escluderli del tutto dalle liste e dal Parlamento.