Renzi avverte il Pd: «Noi siamo l'Italia che dice sì, perciò non ammetto veti»

Renzi avverte il Pd: «Noi siamo l'Italia che dice sì, perciò non ammetto veti»
di Renato Pezzini
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Lunedì 7 Settembre 2015, 08:32 - Ultimo aggiornamento: 8 Settembre, 09:18

Va bene il dialogo interno, ma fino a un certo punto: «Perché è assurdo che invece di occuparci dei problemi veri perdiamo il nostro tempo a discutere delle correnti del Pd». Mentre Matteo Renzi parla – o meglio: urla – dietro di lui campeggiano le immagini dei bimbi profughi morti durante l'esodo verso l'Europa. E urlano anche quelli che lo stanno ad ascoltare, applaudono, esultano.

Come a dire che c'è di meglio da fare che non star dietro ai mal di pancia della minoranza interna.

Si chiude la Festa del Pd. In arrivo dall'autodromo di Monza e in partenza per Expo dove lo aspetta Bono degli U2, al segretario tocca il comizio finale. I giardini Montanelli, in centro città, sono pieni. Non una folla oceanica, ma abbastanza per far dire a Renzi che il partito è vivo e in buona salute: «E se, come qualcuno sostiene, noi stiamo messi male, allora che dovrebbero dire gli altri?». E non è solo una battuta, ma il leit motiv del suo intervento.

I GUFI LAUREATI

Per la Festa Nazionale il partito ha scelto Milano perché a Milano c'è l'Expo. Che per Renzi è fiore all'occhiello da mostrare con orgoglio, ma anche simbolo della tignosa battaglia contro quelli che apostrofa come disfattisti, o «gufi laureati» di varia natura: «C'è perfino chi ogni mattina si sveglia sperando nella pioggia pur di poter dire che a Expo non va nessuno». Insomma, il copione è quello solito: lui che parla di un'Italia che riparte, che dice sì, e gli altri che – a detta sua - frenano. Naturalmente i gufi, nel racconto di Renzi, non stanno solo dentro il Pd. La questione dei profughi è l'arma che usa contro Salvini: «Non siamo noi contro le destre, ma gli uomini contro le bestie». E al Beppe Grillo che s'è mostrato ossequioso nei confronti del feroce ungherese Orbàn manda a dire che «noi siamo orgogliosi di avere una linea completamente diversa da quella di Orbàn».

Il modello giusto, cita Renzi, è quello di una strategia Ue indicata da Prodi nel suo editoriale sul Messaggero di ieri. Di tutto il resto, a cominciare dalla riforma del Senato, parla poco. E se ne parla lo fa ancora una volta per bacchettare gli avversari interni: «Discutiamo pure, e se possibile troviamo una soluzione che vada bene a tutti. Ma se si usa la riforma costituzionale per dire no, per ripartire da capo, si sappia che la forza di chi dice sì è più grande. Il Pd è questo. Non accettiamo veti». E, rincara, se qualcuno è intenzionato a non votare la fiducia al governo «dovrà poi spiegarlo agli elettori».

REPLICA A D'ALEMA

Quasi un muro contro muro, dunque. Che diventa perfino sberleffo quando qualcuno dalla platea evoca – con dispetto – il nome di D'Alema e i suoi ammonimenti sullo «scollamento sentimentale» fra i vertici del partito del partito e la base. Renzi mostra i numeri del 2 per mille, i 5 milioni e mezzo di euro entrati nelle casse dei Pd con le donazioni dei contribuenti: «Un anno fa erano arrivati 200 mila euro. Sarebbe questo lo scollamento sentimentale?».

Insomma, per il segretario che si rivolge al «suo popolo» non c'è crisi, non ci sono ripensamenti, non ci sono difficoltà. E come sempre accade quando parla alle Feste dell'Unità si dilunga su argomenti cari alla sinistra, cita la Resistenza, chiede alla Rai meno pubblicità e più trasmissioni educative. E rivendica: «Sono fiero della legge sul divorzio breve, sui reati ambientali, fiero del jobs act che ha trasformato molti precari in lavoratori a tempo determinato». Fiero dell'Italia «che dice sì» e che continuerà a dire sì. Almeno nei suoi programmi: «Mi impegno a far approvare la legge sulle unioni civili, ad abbassare le tasse che magari sono bellissime ma non in un paese come il nostro dove sono troppo alte. E sfido il sindacato a fare insieme un provvedimento che disintegri il caporalato». Alla faccia dei «disturbatori».

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