Renzi: «Amnistia? Clamoroso autogol
Questa classe dirigente ha fallito»

Renzi a Bari
di Renato Pezzini
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Domenica 13 Ottobre 2013, 09:26 - Ultimo aggiornamento: 14:30
BARI Dice che alle primarie di un anno fa era l'uomo da abbattere. Adesso comincia la sua campagna per la segreteria del Pd con l’aureola dell’uomo da battere. Lui, Matteo Renzi, fa gli scongiuri, però sa e sente che la sua vittoria ha un che di ineluttabile: «Fanno bene a temerci perché se vinciamo noi sarà una rivoluzione». La rivoluzione, per l’intanto, comincia con uno schiaffo che in qualche modo colpisce pure il Quirinale: «Affrontare così il tema dell'amnistia e dell'indulto è un clamoroso autogol».



La corsa verso la guida del Partito Democratico non può iniziare in modo più rumoroso. Ma - spiega poi lo stesso Renzi - «le cose che dice il Presidente non possono essere considerate sempre legge dello Stato, altrimenti salta tutto il sistema». Lui sostiene che indulto e amnistia non risolvono alcun problema, tantomeno quello del sovraffollamento delle carceri. Enrico Letta («Difendo quello che stiamo facendo senza fare polemiche») da lontano prova a stopparlo: «Non condivido il pensiero di Matteo su questo punto, anche perché l’amnistia non c’entra niente con la posizione di Berlusconi». Nel ping pong di giornata al sindaco va l’ultima parola: «Io infatti non ho mai parlato di Berlusconi». E spiega che per liberare i penitenziari prima bisognerebbe abolire la Bossi-Fini, poi la legge Giovanardi, e magari rivedere i criteri della custodia cautelare: «Ma che idea di giustizia possiamo mai dare se ogni sei o sette anni facciamo un condono senza andare alla radice della questione?».



A comizio finito, prova a smorzare. In fondo quello sull'indulto era «soltanto uno dei tanti passaggi». Un passaggio, però, che più di altri restituisce l’idea di una pervicace volontà di cambiare il verso delle cose, come del resto recita lo slogan di questa sua campagna per la conquista del partito. «Abbiamo perso vent’anni dietro alle chiacchiere, l'unica novità della politica sono stati i talk show, parole su parole mentre si precipitava».



IL PORCELLUM

Ce n’è anche per chi, a destra e a sinistra, cincischia da mesi, per non dire da anni, sulla questione della legge elettorale. «A novembre presenteremo una proposta di legge per abolire il porcellum. E sia chiaro da subito: siamo per un sistema che favorisca il bipolarismo. Il giorno stesso dello spoglio dev'essere chiaro chi vince, e dev'essere altrettanto chiaro che chi vince sia sicuro di governare».

Nel salone della Fiera del Levante i duemila e rotti posti a sedere sono tutti occupati. Renzi parla a braccio su un palco circolare allestito nel centro della platea. Per una volta l'attenzione non è concentrata sulla sopravvivenza del governo Letta. Del resto, in sala ci sono molti dirigenti che stanno col premier, non è il caso di alzare barricate. Anzi: «Se il governo fa le cose non lo sosteniamo». Altro non dice e non aggiunge. Non è giornata. Semmai è il momento propizio per puntare il dito contro i vecchi dirigenti del Pd poiché, sostiene, «quando abbiamo usato la parola rottamazione siamo stati fin troppo teneri».

Sulle regole congressuali e sulle dinamiche interne, tuttavia, preferisce sorvolare. Punta il faro sulla situazione disastrata del Paese, con toni a metà fra l’apocalittico e il messianico: «Se non c'è la facciamo noi, non rimane che il mago Otelma». Dice che bisogna ripartire dalla scuola, guarda all'Europa e sostiene che l'Italia deve tornare a essere credibile per chiedere di cambiare regole vecchie di vent'anni (come il tetto del 3 per cento nel rapporto deficit-pil) che non hanno più senso, invoca regole sul lavoro uguali per tutti i Paesi dell'Unione Europea. Che sembra un programma di governo più che un decalogo per guidare un partito: «Ma senza mai dimenticare che prima di tutto bisogna cambiare il Pd».
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