Pensioni, blocco meno rigido e restituzione arretrati a rate

Pensioni, blocco meno rigido e restituzione arretrati a rate
di Luca Cifoni
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Domenica 3 Maggio 2015, 06:27 - Ultimo aggiornamento: 4 Maggio, 07:17

I conti esatti sugli effetti della sentenza della Consulta il governo inizierà a farli domani. Il tema della mancata perequazione delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 è delicato e sarà affrontato al massimo livello, dunque ci sarà nei prossimi giorni anche un confronto tra il presidente del Consiglio e il ministro dell'Economia. Le valutazioni da fare, a ben guardare, sono tecniche ma anche politiche; insomma non si tratta solo di calcolare i soldi necessari per ripristinare gli aumenti, ed eventualmente decidere in che tempi erogarli.

Il punto è che se tutti concordano sulla necessità di «applicare la sentenza», è anche vero che ciò può essere fatto in modi diversi. La Corte costituzionale infatti non ha detto che un governo non possa in nessun caso limitare l'adeguamento dei trattamenti previdenziali all'inflazione. Ma secondo i giudici deve farlo bilanciando le esigenze dei conti pubblici con quelle di proporzionalità e adeguatezza dei redditi indicate dagli articoli 36 e 38 della Costituzione. E infatti un qualche taglio della rivalutazione è stato applicato più o meno tutti gli anni, compreso quello in corso (sulla base della legge di Stabilità fatta approvare alla fine del 2013 dal governo Letta). La “scaletta” attualmente in vigore, peraltro in una fase in cui l'inflazione è praticamente ferma, prevede un recupero al 100 per cento per le pensioni entro tre volte il trattamento minimo, al 95 per cento tra tre e quattro volte, al 75 fino a cinque, al 50 fino 6 e al 45 oltre questa soglia. Potrebbe essere adottato retroattivamente uno schema di questo tipo, magari limitando il blocco totale solo a pensioni di importo più alto. In passato - come rileva la stessa Consulta nella sentenza - era stato anche utilizzato un meccanismo un po' più protettivo, che operando per fasce di reddito invece che sull'intero importo garantiva a tutti almeno un incremento minimo.

I RISCHI POLITICI

Insomma le possibilità sono molte; il governo dovrà però decidere se prendersi il rischio politico che deriverebbe - in termini di impopolarità - da un ripristino solo parziale della perequazione, oppure garantirla in pieno assumendosi un maggior onere finanziario.

Onere che naturalmente non riguarda solo il passato, ovvero i due anni per i quali l'adeguamento non è stato riconosciuto (che da soli richiederebbero circa 5 miliardi) ma anche quelli successivi, visto che le somme allora non riconosciute dovrebbero essere aggiunte alla pensione in via permanente. La relazione tecnica all'emendamento votato in Parlamento, che già ammorbidiva l'originario congelamento ipotizzato al di sopra di due volte il minimo, parlava di risparmi netti tra i 3,1 e i 3 miliardi l'anno fino al 2018. Somme che inevitabilmente andrebbero reperite con un'intensificazione della spending review.

Intanto però le categoria coinvolte chiedono provvedimenti immediati da parte del governo e dell'Inps; ieri si è espresso in questi termini lo Spi, il sindacato dei pensionati della Cgil. Ma anche all'interno del Pd c'è chi - ad esempio Cesare Damiano - si richiama alla sentenza per sollecitare una discussione più complessiva sulla riforma Monti-Fornero, che in realtà nella sua parte strutturale relativa alle regole di uscita non ha molto a che vedere con gli interventi di emergenza sulle rivalutazioni.

Su una posizione diversa si colloca Enrico Zanetti, leader di Scelta Civica ma anche sottosegretario all'Economia. «Un Paese con un sistema di tutele sempre e invariabilmente declinate al passato non ha alcun futuro» ha fatto notare Zanetti aggiungendo che «paradossalmente, è il meno che la sentenza della Corte costituzionale possa aprire uno squarcio di alcuni miliardi di euro nel bilancio dello Stato». A suo avviso infatti «il vero strappo, profondo e drammatico, lo fa nella carne viva del Paese esasperando una convivenza tra generazioni».