La legge sul lavoro si annuncia come la partita di ritorno delle penultime primarie democrat ma su uno scenario più maestoso e delicato, quello delle regole sul lavoro che interessano tutti: Renzi contro Bersani e viceversa. Domattina si riunisce il quartiere generale degli ultimi giapponesi, come li chiama Rosi Bindi, notoriamente anti-renziana, e in serata la grande adunata per contare le truppe in vista dell'arrivo nell'aula del Senato della contestatissisma legge su cui si gioca il futuro della sinistra e della sua identità: giapponese o riformista?
Ma già nel fronte della minoranza china sulle carte a scrivere emendamenti su emendamenti per smontare la linea Sacconi - così chiamano le proposte del governo su articolo 18 e tutto il testo - cominciano a manifestarsi le prime discrepanze. Chi parla apertamente di scissione, come Pippo Civati, pur attribuendo a Renzi questa tentazione; chi come il bersaniano D'Attorre fa l'ottimista: "Renzi troverà una mediazione, lo scontro non gli conviene". Chi come Fassina brandisce la bandiera dei "diritti" e dei "valori" e sarà tra i primi a uscire dalla trincea e andare all'attacco anche a petto nudo; chi come il capogruppo Speranza e il ministro Martina si sta ritagliando il ruolo da diplomatico e da peace keeper con il pericolo di essere bersagliato alle spalle dagli amici giapponesi, perché il clima é questo.
Tanti riformisti doc, come lo fu Bersani, si sono infilati l'elmetto, guardano fuori dal Palazzo, pensando di trovare in quelle che in tempo si chiamavano "le masse", e gridano: "Il popolo del Pd sta con noi!". Ma spesso la sinistra, e la sinistra-sinistra ancora di più, ha sofferto in questi anni di problemi agli occhi.