Nel Pd cresce il fronte dei dubbiosi: «Sul voto palese un'inutile forzatura»

Nel Pd cresce il fronte dei dubbiosi: «Sul voto palese un'inutile forzatura»
di Nino Bertoloni Meli
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Giovedì 31 Ottobre 2013, 08:11 - Ultimo aggiornamento: 14:23

ROMA - E ora nel Pd fa capolino un inedito “partito dei pentiti”. Non un partitone, probabilmente non avrebbe la maggioranza n vincerebbe le primarie, ma abbastanza forte da farsi sentire, trasversale, con personaggi di spicco che se ne fanno paladini.

«E’ una inutile forzatura», dice ad esempio Nico Stumpo, che fu il capo dell’organizzazione democrat al tempo di Bersani. Il dalemiano partenopeo Enzino Amendola sposta lo sguardo fino a palazzo Chigi e avanza qualche timore: «Mi chiedo se non abbiamo finito per rafforzare chi vuole buttare tutto all’aria, sento già dalle parti dei berlusconiani rullare tamburi di guerra».

Un partito di pentiti del voto palese che è stato deciso alla fine deciso dalla Giunta del regolamento del Senato, con il Pd che ha scelto di non pronunciarsi a scrutinio segreto sulla decadenza di Silvio Berlusconi.

LE POSIZIONI

E Beppe Fioroni punta il dito, arrivando a scomodare Togliatti e Natta, «i due vecchi leader del Pci che si batterono sempre perché il voto segreto fosse la regola, in particolar modo quando si trattava di pronunciarsi sulle persone». Lo scontro sulla decadenza del Cavaliere finisce per mischiarsi con lo scontro interno al Pd in fase congressuale. E l’antirenziano (per ora) Fioroni cerca di mettere sotto accusa Matteo Renzi, che il giorno prima si era pronunciato a favore del voto palese: «Si scopre che c’è un inedito asse tra Renzi e Berlusconi per far precipitare tutto e votare in primavera. Del Cav lo sapevo, di Matteo lo apprendo ora. Si tratta di un partito del danno, perché far cadere il governo per votare a marzo è solo un danno per il Paese. Altro che cambiare verso, ci stiamo preparando ad andare a sbattere». Non condivide per nulla Antonello Giacomelli, franceschiniano d’antan, che dà sulla voce a Fioroni: «Ti sbagli. Tecnicamente non è un voto sulla persona ma sulla legge Severino, che richiede solo una presa d’atto». Un altro franceschiniano, Saverio Garofani, è perplesso e non lo nasconde: «Meglio il voto riconoscibile che forzare sulle regole». In un Pd già sotto pressione per i congressi locali, il tesseramento qua e là gonfiato, irregolarità e quant’altro, il voto della Giunta del Senato non contribuisce certo a rasserenare. E’ così che Guglielmo Epifani rompe il silenzio che sembra essersi imposto nella fase congressuale e cerca di compattare chiedendo di «abbassare i toni», ricordando che «la giustizia è uguale per tutti», sicché «basta polemiche che vanno oltre ogni limite». E lo stesso Renzi apre un altro fronte: «Terminata l’era berlusconiana, è l’ora di una radicale riforma della giustizia che disciplini la responsabilità civile dei magistrati nel rispetto degli standard europei».

LE TENSIONI

Da palazzo Chigi, sulla vicenda del Cav, non arrivano dichiarazioni ufficiali, ligi all’impostazione che bisogna tenere distinti il piano dell’esecutivo dalle questioni berlusconiane. Una linea difficile da gestire, visto che quasi nessuno, di fatto, tende a mantenere distinti i due famosi piani. «Letta e Franceschini sveglia, non vi siete accorti che nel Pd sta prevalendo il partito delle elezioni?», cercava di suonare la carica il ministro Quagliariello, tra i più convinti governisti del Pdl. «Nuova legge elettorale e poi al voto in primavera», conferma Pippo Civati. Nel Pd in realtà non è che non si siano accorti, se uno come Francesco Boccia, lettiano doc e tra i più vicini al premier, apostrofa la scelta della Giunta del Senato sul voto palese come «una dimostrazione di mancanza di palle». Finanche tra i renziani affiorano dubbi. Il senatore Salvatore Margiotta affida a Twitter le sue riflessioni: «Sarebbe stato meglio un voto segreto con un Pd compatto per la decadenza». E Paolo Gentiloni non ci sta a impelagarsi in estenuanti discussioni, «basta, la questione è finita all’atto della condanna definitiva di Berlusconi, invece c’è chi vuole condurre il can per l’aia, costringerci a discutere di tempi e procedure. Non possiamo trasformarci tutti in tanti piccoli Ghedini».

Ma perché i senatori della Giunta hanno optato per il voto palese? Anna Finocchiaro, Miguel Gotor, il capogruppo Luigi Zanda lo hanno spiegato in tutte le salse, gli argomenti non sono mancati, non ultimo le pressioni a suon di sms e di messaggi arrivati dalla periferia, tutti a base di “non salvate il Cav”. Ora il governo rischia di più? «No, la scelta in Giunta era l’unica buona per rafforzare il governo», dice Francesco Verducci senatore giovane turco, «così si costringe a uscire allo scoperto i governisti Pdl e si compatta il Pd».

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