Legge elettorale e magistrati: test immediati per il Colle

di Giovanni Sabbatucci
3 Minuti di Lettura
Domenica 1 Febbraio 2015, 22:14 - Ultimo aggiornamento: 2 Febbraio, 00:18
L’elezione al quarto scrutinio di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica ha rappresentato senza alcun dubbio un successo clamoroso per Matteo Renzi, che si è confermato nell’occasione stratega e tattico dalle qualità non comuni. Ma è stata anche una vittoria della politica intesa come esercizio della leadership e come capacità di imporla attraverso il consenso. Quella politica che si era come dissolta nel Parlamento uscito dalle elezioni del 2013, in presenza di un risultato ambiguo nelle urne, di una maggioranza solo numerica e di una leadership incerta sul da farsi. Il fatto che quello stesso Parlamento abbia ora eletto in tempi rapidi un presidente con una maggioranza vicina ai due terzi non si spiega solo con le qualità del candidato (che poteva essere scelto già due anni fa), e tanto meno col ravvedimento operoso dei grandi elettori di allora e di oggi, ma appunto con il ritorno alla politica in quanto capacità di decisione e di guida.



È una condizione che, se mantenuta, potrebbe rendere più tranquilla la navigazione del nuovo presidente, realizzando l’auspicio rivolto al suo successore, ancora ignoto, da Giorgio Napolitano al momento del suo congedo dal Quirinale. Ma non è il caso di farsi eccessive illusioni: troppi sono i problemi politici aperti, troppe le misure legislative in sospeso per non richiedere i consigli e la moral suasion di un capo dello Stato che si annuncia parco di parole ma ben fermo nelle sue convinzioni.



C’è un’emergenza economica ancora in atto, nonostante i piccoli segnali che ne lasciano intravedere la fine. C’è una sofferenza sociale diffusa, cui Sergio Mattarella ha dedicato la sua prima e laconica dichiarazione da presidente eletto. Ci sono soprattutto riforme istituzionali (Senato e legge elettorale in primo luogo) già a uno stadio avanzato del loro iter, ma non ancora completate e a tutt’oggi oggetto di dibattito all’interno del Partito democratico, stando ad alcune dichiarazioni di esponenti della minoranza di sinistra.



Ed è qui che, con tutta probabilità, si farà sentire, nelle forme consentite dalla prassi, il ruolo del Presidente. Sergio Mattarella, oltre che uomo di lunga esperienza politica, è un professore di diritto pubblico ed è stato sino a due giorni fa membro della Corte costituzionale. Nel 1993 è stato relatore, alla Commissione Affari costituzionali della Camera, della legge elettorale che porta il suo nome: una legge di impianto uninominale-maggioritario con quota proporzionale, scritta sulla falsariga di un risultato referendario, molto criticata finché restò in vigore, ma poi largamente rimpianta dopo essere stata sostituita, nel 2005, dal famigerato “Porcellum”.



Poco più di un anno fa, in quanto membro dell’Alta Corte, Mattarella è stato tra gli affossatori di quel testo, finora non rimpianto da nessuno. Difficile pensare che non abbia maturato e mantenuto una sua autorevole opinione in materia di leggi elettorali. E difficile supporre – ma questa è una pura illazione di chi scrive – che sia un entusiasta del ritorno alle preferenze plurime cancellate da un referendum nel ’91, abolite proprio nel ’93, o che consideri incostituzionale il principio stesso delle candidature bloccate (che erano previste per i “listini” della quota proporzionale nel “Mattarellum”), a prescindere dalla quantità dei candidati e dalle modalità di presentazione delle liste.



C’è poi un altro terreno su cui ogni capo dello Stato, in quanto presidente del Consiglio superiore della magistratura, è specialmente atteso alla prova: quello dei rapporti fra politica e giustizia. Scongiurata fortunatamente l’ipotesi di un presidente pescato direttamente nei ranghi della magistratura (una soluzione poco rispettosa del principio di distinzione fra i poteri), resta da augurarsi che il nuovo inquilino del Quirinale segua la via tracciata e percorsa dal suo predecessore. Nessun appiattimento sulle posizioni della corporazione togata, nessun eccesso di reazione a eventuali invasioni di campo, ma attenzione costante alla tutela degli equilibri dettati dalla costituzione e dei principi-cardine della civiltà giuridica, cominciando dalle condizioni delle carceri, già oggetto nel 2013 di un messaggio alle Camere di Giorgio Napolitano.



E soprattutto incoraggiamento al varo di riforme organiche, non imposte dall’emergenza del momento. È questo un compito che spetta ovviamente al legislatore.
Ma anche in questo campo i consigli di un presidente-giurista potranno risultare preziosi.